domenica 31 agosto 2008

L’india non è il tibet

L’india non è il tibet
di Antonio Bruno

L’articolo di Marco Bellizzi sull’Osservatore Romano di oggi e la puntata della trasmissione TV “A Sua immagine” di questa mattina su RAI UNO pongono il problema di ciò che sta accadendo in India, delle violenze su sacerdoti, religiose e religiosi che in quella terra organizzano scuole, asili e servizi sociali.
Un cristianesimo che si realizza nella storia, che è storia, che diviene servizio di uomini e donne ad altri uomini e donne. Io penso che questo è il punto della faccenda.
In un paese democratico dell’Asia un gruppo di uomini e donne di fede cristiana che hanno delle organizzazioni che erogano servizi sono oggetto di un attacco violento rivolto sia alle loro persone che alle strutture di cui si servono per erogare i servizi sociali e i luoghi che utilizzano per il culto.
Spetta a quel governo, al governo dell’India che è sovrano, laddove si svolgono libere elezioni a cui prendono parte anche questi uomini e donne di fede cristiana, che gestiscono delle organizzazioni che erogano servizi sociali, consentire che le tali organizzazioni abbiano la possibilità di operare liberamente senza subire una concorrenza violenta da parte di altre concorrenti agenzie educative e di servizi che appartengono a diversa fede religiosa.
Secondo me il problema è tutto interno allo stato sovrano dell’India e non penso c’entri gran che il nostro comune credo in Gesù.
I nostri fratelli indiani che hanno la nostra stessa fede stanno subendo un attacco violento sia personale che alle organizzazione di servizi sociali che gestiscono da parte di altri indiani che hanno organizzazioni sociali concorrenti e che professano anche un diverso credo religioso.
Un problema di rivalità.
Io non sono in India e non so come si possa essere sviluppata questa rivalità mimetica violenta che ha individuato nella comunità dei cristiani (subiscono violenze anche i protestanti) il capro espiatorio. Sicuramente c’è una crisi di quella organizzazione che ha posto in essere questo attacco e certamente tale organizzazione ha individuato nell’organizzazione dei cristiani in India la causa della sua crisi. Quindi il meccanismo che si è generato è il seguente:
Noi Indiani Indù abbiamo dei problemi all’interno della nostra organizzazione, chi causa questi problemi sono gli Indiani cristiani che ci stanno togliendo i seguaci con tutte queste scuole asili e servizi di assistenza che hanno posto in essere, se noi eliminiamo gli Indiani cristiani il nostro problema è risolto.
Più o meno lo stesso ragionamento dei cinesi che ritengono il tibet un loro territorio in cui vivono degli altri cinesi di fede buddista e che tra loro si dicono:
Noi Cinesi Atei abbiamo dei problemi nella nostra organizzazione, chi li causa sono i Cinesi di fede Buddista che ci stanno togliendo i seguaci con tutte pratiche di padronanza di se che pongono in atto nelle loro strutture, se noi eliminiamo i Cinesi di fede Buddista il problema è risolto.
La differenza tra la Cina e l’India sta nella circostanza di non poco conto che i cinesi hanno un sistema di governo totalitario mentre gli Indiani sono certamente in una democrazia.
Se tutti noi sappiamo che in una situazione totalitaria è impossibile per una minoranza perseguitata tutelare le proprie credenze e tradizioni e quindi, esprimendo solidarietà a questa minoranza perseguitata, chiediamo l’intervento della comunità internazionale per liberare i tibetani perseguitati dalla dittatura cinese non possiamo fare altrettanto nel caso dei cittadini indiani che vivono in un paese democratico che, pur essendo sede di contraddizioni e di condizioni di povertà estrema, consente a tutti i cittadini di decidere chi li governa attraverso l’esercizio del voto in libere elezioni democratiche.
Nel caso dell’India quindi è del tutto evidente che spetta al governo indiano risolvere il problema dei cittadini indiani a qualunque fede essi appartengano. Che possiamo fare noi? Penso nulla!
Altrimenti sconfineremmo, qualunque cosa facessimo, nell’ambito dell’ingerenza negli affari interni di uno stato sovrano che abbiamo sempre considerato una faccenda da evitare in ogni caso, come scrivemmo e dicemmo ai tempi dell’Iraq.


-->

1 commento:

monastero.invisibile ha detto...

Da "Il Corriere della Sera" di lunedì 1 settembre 2008

Particelle elementari di Pierluigi Battista Se uccidere i cristiani non fa scandalo a quante pretese, e che tormento con questa storia dei cristiani perseguitati nel mondo, delle suore arse vive dai fondamentalisti indù, con la Chiesa che implora addirittura un intervento dell`Onu perché metta un freno a quegli sporadici episodi di discriminazione religiosa che esageratamente i cattolici definiscono «cristianofobia» .

Ma davvero, con tutti i guai che infestano il Pianeta, dovremmo preoccuparci dei villaggi cristiani in India rasi al suolo, degli orfanotrofi incendiati, dei bambini inseguiti fin dentro la giungla da branchi di fanatici armati di coltelli? Dovremmo dare credito ai rapporti sulla Chiesa oppressa nel mondo dettagliatamente illustrati sul Giornale da Gian Micalessin e Rolla Scolari? Come se davvero potessero smuovere la coscienza mondiale i vescovi cinesi spariti per non aver accettato la sottomissione del silenzio patteggiata con il regime, i 30o mila cristiani inghiottiti nel nulla nella Corea del Nord, i sacerdoti sterminati e le suore eliminate, le decine e decine di missionari (cattolici e protestanti) massacrati negli agguati che insanguinano il Sud delle Filippine, gli attentati in Indonesia contro le comunità cristiane colpevoli soltanto di aver esibito un crocefisso. In Arabia Saudita i cristiani non possono costruire chiese, se vengono trovati in possesso di una croce rischiano la morte, sono sottoposti all`attenzione asfissiante di un corpo speciale di aguzzini, la polizia religiosa, e accusati (e sommariamente condannati) per un niente se solo si azzardano a fare Massacri «proselitismo». Dovranno dall`India al forse turbare la quiete religiosa del mondo con simili Sudan ma inezie? E chi chiede un rudimentale principio di reciprocità nell`espressione della li- scompone bertà di culto (libere chiese e libere moschee in liberi Stati) non si fa forse paladi- no di una deleteria campagna di avvelenamento dello scontro tra religioni? Nel Sud del Sudan i cristiani uccisi dalle bande schiaviste che hanno agito nel nome dell`islam più radicale ammontano a due milioni (sì, due milioni): non fa più notizia. Nemmeno nel Darfur, dove la carneficina continua, milioni di persone perdono la vita per via della loro religione e della loro razza, ma l`Onu saggiamente e prudentemente si ostina a non chiamare genocidio il genocidio. In Nigeria i fondamentalisti, con apposite spedizioni punitive su cui sarebbe il caso che la comunità internazionale continuasse a non intervenire per non guastare con ingiustificato sdegno la pacifica coesistenza tra popoli e religioni, hanno annientato 20 mila cristiani e distrutto non meno di 500 chiese. Ma sarebbe assurdo, e pericoloso per la serenità del mondo, avvalorare la stolta tesi della «cristianofobia».

In Somalia, una suora di oltre 6o anni troppo temeraria e fanaticamente convinta che fosse il caso di aprire a Mogadiscio un centro di raccolta per bambini dispersi e senza famiglia, Suor Leonella, è stata uccisa davanti al cancello dell` ospedale. I cristiani sono sottoposti a persecuzione, ridotti al silenzio, messi nell`impossibilità di conservare sia pur nascosti e non esibiti i simboli della loro fede, in Egitto, Pakistan, Afghanistan, Iran, Yemen ma non si dovrebbe generalizzare per non dare spazio ai nemici della pace religiosa. E per non intasare gli uffici dell`Onu, già oberato di lavoro per dover affrontare anche queste quisquilie. 0 no? [.]