domenica 31 maggio 2009

L’altro attraverso il tatto


L’altro attraverso il tatto
Appunti dalle lezioni del Prof. Massimo Fagioli redatti da Antonio Bruno.

Si sono mosse molte cose. Non siamo immuni dall’influenza dell’ambiente esterno. Avvenimenti esterni possono influenzare il pensiero. La ricerca umana nei riguardi di se stesso tocca vari campi della scienza. Le persone perché si muovono in un senso o nell’altro. Come si è diffuso un interesse, una curiosità, una simpatia che non c’è mai stata nei riguardi di una ricerca del “Conosci te stesso”. E’ una simpatia che c’è nell’aria, che si percepisce dappertutto. Cos’è la fantasia di separazione? Si disse 40 anni fa, ma nessuno sentiva, nessuno ascoltava. Buffalmacco e Calandrino. Avevano fatto uno scherzo a Buffalmacco dicendo che bevendo una pozione sarebbe divenuto invisibile. Tutti facevano finta di non vederlo e lui però non credette di essere invisibile!
Pulsione di annullamento ma non volle credere che per tutta Italia ed Europa che non esisteva per quello che era, anche se esisteva.
Tutti vogliono sapere che cos’è la Fantasia di Sparizione. Fantasia di Sparizione come una bella donna. Un medievale andava in giro a trovare la donna amata, come il Guerrin Meschino verso Oriente alla ricerca di un immagine diversa da se stessi.
Giacomo Valentini e i poeti siciliani, l’idealizzazione della donna con il dolce stil nuovo. L’immagine femminile del diverso dal maschile si legasse al linguaggio articolato del parlare ma anche a una identità umana che andava definita perché non era stata definita.
Entrò in crisi quell’identità che era stato stabilito da altri 2.000 anni. L’identità di relazione era soltanto maschile come stabilito dalla filosofia del mondo greco.
Prima c’era un modo di pensare, e di pensare il rapporto con la natura mediante figure. La figura di Minerva, la figura di Proserpina che davano un nome ai fenomeno naturali. Teti era un fiume, Stromboli e l’Etna era Vulcano. L’amore era Venere. Nel 685 avanti Cristo ci fu Talete che disse di smetterla con le favole. L’acqua è acqua, la Terra è terra mica Gea progenitrice, il fuoco mica si chiama Vulcano, e l’aria non è Eolo arrabbiato, è aria.
Per portare la cosa percepita al linguaggio verbale a quella certa cosa molto strana. Quella certa cosa per cui si va verso la simbolizzazione. C’è la possibilità di far uscire dalla gola dei suoni. Chissà se gli animali che un illustre prof ha insegnato hanno una lingua per cui il Cervo eccitato chiama con un suono la Cerva. C’è un dubbio: ma è vero che magari questi suoni dall’elefante al cervo per fare il linguaggio come le api che con la danza illustrano il percorso per i fiori. Però non indicano mai le cose della natura. C’è sempre un rapporto tra di loro. Un rapporto interanimale, da animale ad animale. Era l’elefantina che mandava onde Herziane al di sotto dei 20 Hz e non era l’elefante che chiamava l’elefantina. Come con i profumi. C’è una comunicazione tra gli animali ma non parlano. Il linguaggio degli animali non ha la grammatica. Uno può disinteressarsi della grammatica. Perché la differenza è che il linguaggio articolato è l’unico. Invece il linguaggio nasce da dentro il corpo umano, poi utilizza il cinese ecc per parlare con gli altri. Ma viene dall’organismo e diventa cosa visibile, si manifesta da quello che si percepisce da fuori. La differenza dall’animale non è perché l’animale non ha la grammatica ma che i suoni che emette sono diversi.
Il vagito del neonato è un suono che sembra anonimo dato che è addirittura più simpatico del belato del cerbiatto. L’orecchio umano lo sente ma come si fa a adire che è completamente diverso. Il cerbiatto per i suoi 20 25 anni continuerà a belare in maniera identica al primo belato della nascita. Il bambino nel corso degli anni trasforma il vagito in linguaggio articolato in cui modula il linguaggio in maniera tale che comincia l’indicazione delle cose in maniera tale che nessun cerbiatto ha mai fatto.
Come accade questo fatto? Il corpo umano una volta che si è formato nei 9 mesi di gravidanza è completo e una volta nato non si modifica. Il corpo si sviluppa in grandezza ma la forma del corpo non cambia mai più.
Perché a monte era necessario fare un nesso di voler cambiare la natura umana modificando il corpo come i nazisti che facevano i trapianti, tanto violenti quanto stupidi non vedevano nulla della realtà umana che stiamo cercando di vedere che si differenza dalla natura animale per la stazione eretta, opponente del pollice, angolo del foro occipitale con il suolo terrestre. Ma è diversa per un’altra ragione, c’è qualcosa di diverso in quello che si chiama mente umana che è diversa da quella animale e non perché l’uomo impara la grammatica ma per qualche altra coda che è rimasta invisibile. E’ la mente che è modificata rispetto a quella animale anche se c’è il vagito che sembra uguale a quello del cerbiatto ma che è diverso perché ha una potenzialità di trasformazione e a due anni diviene linguaggio articolato. Che c’è sotto al vagito che è invisibile? Per cui poi diventa linguaggio articolato per cui il pane si chiama pane e così via. Bisogna cambiare il metodo di ricerca e aprirsi e imparare dai filosofi? Anche se i filosofi si sono separati dal rapporto con la realtà materiale per fare elucubrazioni che sono lontane dalla realtà. Ci potrebbe servire il metodo medico, l’esame obiettivo, la visita medica, la necessità di fare diagnosi. Era necessario da un piccolo suono da un crepitio vedere quello che non è visibile. Se c’era metà del polmone piena di liquido va curato in un certo modo insomma con la visita medica si deduce cosa c’è. Che c’è dietro al vagito? Dopo due anni diventa linguaggio articolato e si dice che glielo ha insegnato la mamma. Provano a farlo con i pappagalli ma al massimo ottengono che riproducono come i computer. Anche se hanno insegnato un po’ di grammatica e di matematica alla scimmia, distingue tre da trenta. Il meccanismo fisiologico della ripetizione non ha rapporto con la realtà, mentre il linguaggio articolato del bambino ha rapporto con la realtà.
La poesia di Montale, quello parla ma non indica affatto le cose:

Forse un mattino andando in un'aria di vetro,
arida,rivolgendomi vedrò compirsi il miracolo:
il nulla alle mie spalle, il vuoto dietro
di me, con un terrore di ubriaco.
Poi come s'uno schermo, s'accamperanno di gitto
alberi case colli per l'inganno consueto.
Ma sarà troppo tardi; ed io me n'andró zitto
tra gli uomini che non si voltano, col mio segreto.

Eugenio Montale da Ossi di Seppia

La poesia non parla di cose reali. Quindi non ha rapporto con la realtà? Quindi è un autismo precoce infantile? Ma è un po’ difficile dire che Montale aveva di questi problemi. E allora cosa pensare e dedurre? Perché utilizza le parole imparate? Sembra dissociato.
Eppure il vuoto non c’è! O è dissociato oppure utilizza le parole che ha ascoltato e che ha imparato non per parlare a vanvera ma per indicare qualcosa di non direttamente percepibile.
I cani e i cerbiatti non sono poeti. Che sia questo il problema della differenza tra il suono che emette un animale e quello dell’essere umano? Sta nel suono! Ma all’inizio non si distingue. Cos’è che da un suono diverso al linguaggio dell’uomo rispetto al cardellino? O la cinciallegra che sembra una donna la mattina che si alza dopo una notte d’amore. I suoni determinano nella mente umana una fantasia? Per cui invece di essere scientifici i suoni anche anonimi scatenano una reazione di fantasia nell’essere umano. Allora non è che il bambino quando impara a parlare ripete meccanicamente quello che ode ma utilizza quello che ode per realizzare una fantasia. Lo stile acustico del suono determina che sembra che ripeta quello che gli hanno insegnato ma in verità è una creazione sua. Ma per creare qualcosa gli servono un pennello e i colori.
Non sarà il contrario? Ovvero che gli animali hanno una grammatica e l’uomo no? L’uomo vede, percepisce lo stimolo e poi lo trasforma e nella misura in cui lo trasforma c’è il rischio che l’altro non capisca.
Le indicazioni stradali servono e devono essere uguali per tutti. Il pane è uguale per tutti anche se ha tantissime forme diverse è sempre pane. C’è un idea, un’immagine di fondo per cui anche se tante forme diverse sempre pane è. Un idea di pane che non è legato a una forma. Allora che c’è sotto al vagito del neonato se poi porta tutte queste complicazioni. Qui bisogna lavorare con il metodo deduttivo che non è scientifico che è percezione e possibilità di verifica da parte di tutti. Ma Qui dobbiamo dedurre che c’è qualcosa che è una trasformazione. E’ il vagito che poi si trasforma ed è lo stesso suono che va a posarsi su quello che ha udito. Il vagito si posa sull’espressione letterale della mamma. Se uno ha una mamma come il computer che ti cancella le parole e che deve prendere il vestito del suono con cui è nato. Il feto nell’utero non ha la vista e non ha nemmeno l’udito. La sensibilità neuropsichica è solo nella pelle. Le orecchie non funzionano e non funziona nemmeno la retina che non c’è nei primi sei mesi. La luce nell’utero non entra. Scoperta USA la retina si forma dopo 24 settimane. Allora senza stimolo luce e suono nasce e invece di respirare in silenzio grida ueeeeeee. E non è la ripetizione di ciò che ha udito. Che cos’è quest’altra cosa?
C’era il dolce stil novo in cui s’è detto con Dante nel Purgatorio qual che mi ditta dentro vo significando. Quindi il vagito è qualcosa che viene da dentro l’organismo umano che nasce. Ma per fare funzionare i muscoli è il cervello e allora che cosa c’è che prima non c’è. Il cervello si mette a funzionare, ma prima non funziona? La prof.ssa Gatti ha detto che l’elettroencefalogramma è piatto nel feto, quindi il cervello si mette a funzionare alla nascita. Questo meccanismo neurologico che muove i muscoli il cervello funziona si muovono i muscoli e c’è il vagito. Questa è una logica alla Oddifreddi, ma questa è dell’ululato del lupo, ma non del linguaggio articolato che è determinato da qualcosa di invisibile e non direttamente percepibile.
Per fare funzionare il cervello ci vuole uno stimolo o un miracolo. Qual è l’unico stimolo possibile per far funzionare il cervello, non è per la pressione dell’aria che è di un atmosfera. Ma se nel canale del parto c’è una pressione di 25 atmosfere e non respira perché affogherebbe. E allora qual’è lo stimolo? Cacolammine ed endorfine prodotte per evitare il dolore. Non si distinguono le papille tattili da quelle dolorifiche. Qual è lo stimolo, non è lo sculaccione o l’aria. E’ la finestra sul mondo, formatasi la retina che è l’unica aziona in cui la distanza cerebrale è aperta all’esterno, la sostanza cerebrale non può essere stimolata con un dito nell’occhio. Quindi è la luce lo stimolo che prima non c’era. E’ la luce che scatena l’attività. Non è il suono perché non è direttamente esposta. L’unica zona esposta sono gli occhi in cui può entrare la luce che non ha massa e non rientra nella categoria della materia. Il cervello funziona non solo in maniera neurologica, funziona in maniera specificatamente umana.
Retina, distanza cerebrale e gli occhi servono a vedere, questo stimolo passa dal nervo ottico che va a finire nel lobo occipitale che è zona visiva. C’è quel mistero che nessun prof. ha spiegato. Un essere umano si forma una figura nella retina di mezzo centimetro. Perché lo vedo fuori di me dritto e di un metro e ottanta. E lo rovescia il nervo ottico. Ma come lo vedo grande e con il tatto vedo che è la realtà che è davvero grande. Dove succede il raddrizzamento dell’immagine che si è formata? Nel lobo occipitale e in particolare nella corteccia occipitale, quindi il cervello ha il potere di formare o di riformare l’immagine? Si! Ma questo non spiega il vagito. Perché da piccolo vagito può divenire grande vagito ma non linguaggio articolato. Il cervello umano fa la trasformazione del percepito, quindi basta trovare questo cambiamento avvertire la trasformazione. Nei sogni si vede in continuazione che una cosa percepita nel sogno viene trasformata. Una cosa pensata può essere trasformata in immagine. Questo può al massimo portare a una interpretazione, ma questo non sarebbe stato terapeutico. Ci saremmo limitati a comprendere il lavoro di un artigiano che trasforma il legno in un tavolo. Ma oltre l’artigiano c’è l’artista che fa di più della trasformazione inventa qualcosa di nuovo. La trasformazione non c’è nel neonato ma nell’adulto. Allora la luce deve determinare una reazione nel cervello e si deve formare qualche altra cosa. Cioè quella che distingue l’essere umano dagli animali oltre all’opponendo del pollice. Nel feto il cervello non funziona, poi invece funziona, ma in che modo funziona? Nel seguire il discorso del vagito che poi si trasforma, come se avesse un’energia interna, il barrito dell’elefante funziona in maniera neurologica, ma prima non c’è niente e quindi non c’è quello che caratterizza l’essere umano dagli animali cioè il pensiero, nasce il pensiero, ma non basta, che vuol dire pensiero, non ha una identità. C’è il pensiero dello scienziato o quello su una donna. Ma cos’è? Idea? Ma anche idea posso avere mille idee. Perché qualche pittore bravissimo è profondamente depresso che diceva che è bravissimo a dipingere ma non aveva idee e quindi era depresso. Allora pensiero e idea pur se dipinge bene. La parola è immagine, l’idea non può essere un linguaggio articolato, l’imago, nel neonato c’è l’immagine. Per cui non si distingue la figura del rapporto cosciente del dove ho lasciato la macchina, dove ho lasciato la giacca, una figura precisa che ti fa riprendere le cose e ele riconosci. Non c’entra è un immagine che bisognerebbe costruire questo pensiero che nasce da dentro il pensiero uomo – immagine, confessa l’impotenza o stupidità o realtà. Ha dato retta ai pazienti e ha chiamato questa immagine che è la memoria di quella sensazione che la pelle del feto può avere con il liquido amniotico e la memoria era per l’acqua un mare. Li ha messo insieme quello che era la sua calma con quello che gli hanno detto gli altri il mare calmo ovvero lui forse è nati calmo ed è rimasto a lungo calmo. Quando i pazienti stavano meglio sognavano il mare. Prima idea immagine “Inconscio Mare Calmo”.
C’è questa nascita dell’immagine. Questo fu detto nel 1979 – 1980 nel film “Salto nel Vuoto” di Marco Belloccio che finisce con lei che sogna il mare. Quello aveva già capito la storia della nascita e l’aveva proposta in questo modo dopo il suicidio del fratello giudice. Perché pare che dopo 30 anni questo regista ha fatto un altro film in cui c’è un movimento di immagini di estremo interesse, il tema è vecchio o risale al tempo di Ulisse e Giasone e si è ripetuto 1000 volte. L’uomo per essere uomo deve abbandonare l’amore e il desiderio per ritornare alla madre dei suoi figli che fedelmente lo aspettava e che per 20 anni era rimasta casta. Giasone lo stesso. Giasone era la storia della Medea che l’aveva aiutato a conquistare il vello d’oro la abbandona per sposare la principessa. C’è la storia del giovane Mussolini che da socialista rivoluzionario anarchico diventa pacifista e interventista e abbandona la donna Ida Valzera che si muove in maniera anticonformista. Ma non è chiaro se diviene pazza. Era una donna intelligente, colta e ricca. Una specie di Marcegaglia. Non era quella che è a casa e cucina bene, quando viene abbandonata da in escandescenze e poi si scontra con l’antico amante che era divenuto uomo potente prima e dittatore poi.
Il 5 gennaio del 1925 lei va a finire in manicomio dove resta e muore. Lui nel 1945 a Piazzale Loreto. Questa storia che è quella di Giasone viene raccontata con immagini particolari. E per considerare il rapporto con la realtà una certa stampa cerca di distruggere film e regista perché vorrebbe portarlo tutto al racconto del fatto storico. Come se fosse un inchiesta poliziesca. Il discorso è che Bellocchio prende la percezione la storia per fare delle immagini che non dicono esattamente come stanno le cose ma delle immagini che dicono qualche cosa del non immediatamente visibile e queste immagini parlano con l’aria l’atmosfera. C’è il racconto della tragedia greca per il modo di fare immagine. Pochi colori, contano i chiaro scuri, il passaggio da buio alla luce. Ha ricreato in maniera diversa il cinema muto di fine ottocento, quello che contava era fare delle immagini che parlassero. Poi con il sonoro e di più con il colore è come se si fosse persa la possibilità di parlare attraverso immagini. Fa vedere questo dramma di amore e morte attraverso la creazione di questa atmosfera di luci ed ombre e di primi paini che parlano della tragedia che sta sotto. Sotto un uomo nel pieno della vitalità che porta la rivoluzione che non accetta affatto di essere conformista, non accetta il destino di essere un buon padre di famiglia e in questo momento incontra una intellettuale borghese e si lascia travolgere tra desiderio di lasciarsi andare e passione rivoluzionaria. E’ pieno di speranze, di discreto guardare questa cosa il rapporto uomo donna come dovrebbe essere. Poi nel 1915 quando l’Italia entra in guerra diventa interventista e prende i soldi che gli da lei, che aveva venduto tutto per lui, lei che ha abbandonato la sua identità che crea il Popolo d’Italia che era il nuovo giornale. Ma poi lui si allontana per fare carriera politica e realizzare la sua identità. E lei ci sta, gli dice che non vuole nulla. Viene fuori che lui aveva sposato Rachele e quindi il rapporto era fuori il matrimonio e li c’è il conflitto tra realizzazione di una identità e amore. Ci fu un film con lo stesso soggetto rovesciato in cui è lei che abbandona lui che ha avuto una passione amorosa per un certo tempo e sceglie il funzionario. Stessa dinamica rovesciata. Da una parte lasciarsi andare all’amore e desiderio e l’altra la realizzazione d’identità. L’amore non può andare a braccetto con la realizzazione d’identità.
Nella signorina F c’è la fotografia di quella donna che si lascia andare ha una storia ma poi torna nei ranghi e si sposa. E’ come se fosse un disegno un po’ piatto che racconta una cosa che può realizzarsi in un caso o nell’altro. In quello di Bellocchio c’è un respiro che investe 3.000 – 5.000 anni perché questa storia comincia da Ulisse. Quando si è inserita questa storia che si è inserita nel logos occidentale, con donna che assiste un marito filosofo, pensatore e artista. Questo respiro ampio c’è dietro Mussolini c’è il comizio di lei. I primi 5 anni di rivoluzione russa fu totalmente libertaria. Nel 1922 Lenin con la scusa della crisi economica mise la donna dentro casa e l’allontanò la femminista e istituì che chi doveva portare avanti la storia erano gli uomini e le donne dovevano stare in casa.
Ma l’ha abbandonata, Mussolini ha abbandonata questa storia d’amore. Oppure l’ha abbandonata perché è diventato fascista. Oppure è diventato fascista perché si è abbandonata, si diventa fascisti quando sui abbandona il rapporto uomo donna nel rapporto di follia razionale.
Dopo il 1968 c’è stato il riflusso, il ritorno alla norma. Ma nel film c’è la sfida a studiarci che si finisce fascisti quando non si continua la ricerca, quando si riprende quanto costituito nella tragedia Greca nel 500 avanti Cristo.
Si è trovato tra Scilla e Cariddi e ha rifiutato l’organicismo sia la psicanalisi per cui sa fare la diagnosi. Nel quale dice so benissimo che non sei malata di mente per cui se continui a gridare in questa realtà fascista diventi matta. I fascisti ti distruggono se continui a dire che sei la moglie di Mussolini. Ma lei dice che è la moglie del Mussolini rivoluzionario e non fascista. Parlando del rapporto uomo donna da Ulisse e Giasone con la costituzione dell’io razionale parla della realtà attuale. Un articolo apparso sul Manifesto con la faccia di Berlusconi che appare Mussolini, che dice Bellocchio è l’unico regista che conosce la psichiatria e poi perché ha fatto matti da slegare. E’ questo il fascismo. Trasmissione di Vespa che non è di sinistra che deve distruggere la genialità di Bellocchio, Alessandra Mussolini e portando tutto a c’è o non c’è un documento. Quel film è teatro. Non c’è il saltare spazio tempo del cinema e Marco Bellocchio con il teatro non ha nulla a che fare. Quella scena dove c’è il comizio di Lenin nel comunismo c’è dentro una regressione della donna che lo rende simile al fascismo. Il comunismo è stato una trasformazione storica della società, dall’illuminismo che ha portato alle base della democrazia, Marx e Lenin stabilirono che con la distruzione del capitalismo che viveva a spese del lavoro con la dittatura del proletariato. Fare ameno delle libertà democratiche per realizzare l’identità umana. Ma la cosa non è riuscita.
Come facciamo a proporre una nuova identità umana. Prima di tutto facendo psichiatria affrontando la malattia mentale degli esseri umani che gli animali non hanno. Ma sarebbe bene interessarsi per metter le basi di una nuova identità umana sulla realtà uomo donna.
Fare una ricerca per fare la nuova psichiatria che coincide con il tentativo di costruire un nuovo rapporto uomo donna ovvero la ricerca sull’irrazionale, di pensare alla nascita umana, alla natura umana, e per questo bisogna togliersi da questa alleanza che stritola tra Bibbia e Logos Occidentale.
Queste due culture quella della Bibbia del peccato originale con questo logos occidentale che è l’essere umano è solo ragione perché sotto c’è l’animale c’è la pazzia e per cui il controllo è la ragione. Marco Bellocchio ha fatto una opera d’arte geniale. Ci contentiamo della scenetta del giovane psichiatra veneziano che non crede né organicista né psicanalitico nella natura umana. Il rapporto del desiderio finisce con la morte dell’uno o dell’altra o di tutti e due. Tentare una dialettica tra maschio e femmina del diavolo in corpo portava alla realizzazione di due identità in cui lui da l’esame di stato nonostante le bellezze di lei e anche lei che accetta che lui sia riuscito a fare la sua identità. Forse quello era un ideale, una favola o erano pensieri e immagini possibili.
Studiamoci le immagine che fece Marco Bellocchio per raccontare questa tragedia.
Lui racconta la realtà attuale in cui il rapporto uomo donna resiste nell’anaffettività per cui è soltanto un tranquillante. La passionalità dell’inconscio dell’irrazionale, del desiderio che non guarda più la realtà intorno perché quello che conta è il rapporto e soltanto esclusivamente il rapporto, quello avviene guarda per tutta la vita soltanto il rapporto. Il racconto di questa realtà è ben fatta in maniera artistica. E’ una tragedia greca, oppure questa per dire favola di diavolo in corpo in cui lei era destinata alla depressione della moglie che doveva sposare il terrorista perché era pieno di soldi e invece con il rapporto con questo ragazzo si ribella, rifiuta il matrimonio in chiesa, rifiuta tutto quanto per lasciare le cose in sospeso e vedere che cosa succederà poi chi lo sa.
Ma l’importante è la realizzazione della propria identità. A metà c’ha ragione Marco perché il desiderio diventa distruzione se non c’è l’identità ma non l’identità razionale. L’identità razionale non ha niente a che fare con il desiderio. E’ con l’identità irrazionale. Quale? Quella di cui si è scritto sin’ora. Quella irrazionale, quella della nascita, se no non si scopre questa realizzazione non solo della specie umana, rispetto agli animali che si verifica non con la ragione a sette anni, per quello che ci viene insegnato e noi siamo cani ammaestrati che dobbiamo obbedire a quello che ci hanno insegnato, addomesticati. Ma perché realizziamo la nostra nascita per quella che è, perché il nostro pensiero ha la sua base, la sua matrice, nella prima capacità che è immagine è fantasia, e non il linguaggio articolato che viene dopo, perché li c’è soltanto il vagito. Perché è la sola possibilità che si realizzi insieme alle enormi totali differenze tra uomo e donna un uguaglianza completa. La nascita è uguale per tutti. Questo per un discorso logico semplicissimo, che poi se non c’è quella uno non nasce, non c’è anche la nascita fisica se non c’è questa realizzazione del pensiero e quella non c’è pensiero maschile e pensiero femminile, la base e la matrice è il pensiero, ed il pensiero è uguale quindi nel rapporto delle differenze tra uomo e donna, ci deve essere questa base comune di un’identità più possibile forte di essere umano uguale quindi all’altro dal quale essendo uno maschio e uno femmina siamo completamente differenti. Allora se c’è questa che Aristotele chiamerebbe essenza o noi abbiamo detto immagine comune, è immagine, è inconscio mare calmo per tutti? O è ancora di più siamo andati che l’inconscio mare calmo viene un po’ dopo? Perché questa capacità di pensare che però è capacitò di immaginare. E cosa si deve immaginare? Si deve immaginare che esiste un altro essere umano, perché la memoria del contatto del tatto fisico con il liquido amniotico significa che diventa un altro essere umano con cui si può avere contatto. Come se l’altro fosse la trasformazione del liquido amniotico. La ricreazione della realtà fisica, che dovrebbe essere, senza fare tanti discorsi filosofici, il liquido amniotico.

Tutto dipende dai quei primi 7 mesi di vita


Tutto dipende dai quei primi 7 mesi di vita
Appunti dalla lezione del Prof. Massimo Fagioli redatti da Antonio Bruno

Quando la ragione non si realizza come umana è animale, così credevano i Greci Socrate e Platone. Invece nel mondo del 700 al di fuori della ragione c’è la malattia mentale. Ma nessuno diceva che è una malattia del pensiero invece si afferma che è malattia della mente. Aiace impazzì e ammazzò tutte le pecore che credeva fossero Greci e non aveva una lesione organica e quindi la malattia mentale potrebbe non essere una lesione organica. Il suicidio di Diomede, in Puglia sul Gargano ci sono le diomedee, specie di gabbiani, e si dice che li si suicidò Diomede altro eroe della guerra di Troia.
L’illuminismo non accogliere i messaggi subliminali e non riesce a interpretare i messaggi in un certo modo. Erano reazioni umane come la storia di Achille che si ritirò in crisi depressiva perché aveva litigato con Agamennone per qualcosa di diverso dalla lesione umana. Poi gli ammazzano Patroclo l’amico diviene il figlio di Peleo ovvero delle cime innevate dei Monti e Teti la Dea del Fiume. Teti lo mise nel fiume e Achille era invulnerabile all’infuori del tallone.
Nel 700 quale mentalità c’era nell’ambito delle realtà umane? Nell’antica Grecia attraverso le favole si dicevano le cose come la storia della sfinge che aveva un suo significato. La ragione non riesce ad essere per intero la realtà umana.
Dopo la separazione tra Stato e Chiesa che cosa è rimasto del pensiero religioso e perché il monoteismo paralizza la ricerca della mente umana sulla propria realtà rispetto al politeismo. Perché con il monoteismo vanno via le immagini.
Non c’è l’immagine, c’è qualcosa che ha preso dal mondo romano.
C’è il Dio invisibile assolutamente invisibile che non può essere nemmeno nominato. Papa disse che Dio non è rappresentabile e quindi viene fuori che è spirito assoluto che è l’opposto della realtà materiale.
C’era stato Giordano Bruno morto bruciato che aveva parlato dei mondi infiniti, ci teneva a questa cosa dei mondi infiniti e non finiti. Questa cosa dell’infinito c’era anche nel mondo Greco con Senofane e Anassimandro. E li si legò la parola infinito con Dio. Giordano Bruno mette la parola infinito nella realtà materiale e quindi la realtà materiale era infinita e fu bruciato in campo dei fiori. Era una eresia che minava le basi perché la parola infinito che è ripristinata da Spinoza che dice per parlare di esistenza che deve essere legata alla parola infinito altrimenti non è esistenza. Se è una cosa finita e ha un tempo misurabile non è esistenza.
L’esistenza sta nell’eterno e l’uomo è finito e quando non è esistente.
Nel 700 viene l’illuminismo ovvero l’identità umana come ragione. Questo influenza il pensiero di uno sugli altri di questo per cui l’infinito sta in Dio che è l’unica esistenza reale.
Congresso di Vienna che dice che la rivoluzione francese e napoleone non sono mai esistiti. La democrazia dell’illuminismo dice che la religione ci deve essere ma separata dallo stato che da le leggi della realtà umana. Quindi nella realtà umana c’è il monoteismo come reale esistenza. Quindi ci si doveva occupare del pensiero umano e della malattia del pensiero umano con la regola che della realtà del pensiero umano di occupa la Chiesa, solo la chiesa. Poi nel 700 il magnetismo animale e poi una ricerca sul rapporto interumano ovvero la pratica dell’ipnosi che passò agli ipnotismi. Gli ipnotismi facevano perdere la coscienza nelle persone.
C’era tutta una ricerca in cui si perdeva la coscienza. L’illuminismo aveva permesso con la separazione politica dalla chiesa su un movimento di ricerca per capire cosa ci fosse oltre la coscienza. Contemporaneamente accadde che un filosofo tedesco disse che c’era un qualche cosa nell’uomo che però era inconoscibile. Lutero e Boccaccio parlavano di qualche cosa di cui non ci si rende conto, come se ci fosse un fatto di ricorra coscienza di rapporto con le cose. Quello che poi si chiamò inconscio che però era inconoscibile. Viene fuori Freud che questa realtà umana oltre la coscienza detto inconscio è inconoscibile. E’ inconoscibile quello che noi chiamiamo irrazionale. Lo fece Schelling, lo nomina gli da la possibilità di apparire ma non si può conoscere. Sappiamo che c’è l’inconscio ma è inconoscibile. L’unica cosa che si può conoscere è ciò che un tempo fu cosciente. Però con ciò che fu cosciente non si scopre quest’altra cosa che c’è prima dell’emergenza della coscienza. Ha escluso dalla realtà umana 8 mesi, quelli del neonato che non è cosciente e che non arriva alla formulazione verbale del suo pensiero. Ci arriva a 1 anno e mezzo due e a scrivere arriva a 5 anni. E se prima fossero immagini? C’è ma è inconoscibile. Resta nella realtà Greca per cui sarebbe eredità filogenetica di milioni di anni, cioè animalità prima che l’uomo di costituisse essere umano. L’inconscio è la parte animale di lui. Ma l’animale è conoscibile, mica è inconoscibile.
La parola esistenza e non esistenza che va al di la del discorso della distruzione, è qualche cosa che c’è e non c’è in toto.
La sparizione che è un cardine fondamentale per andare oltre alle parole che parlano di distruzione perché sparizione si collega alla memoria cosciente e non cosciente.
Al di la della violenza che distrugge c’è un’altra dimensione umana di percepire e non percepire. Ci fu un fenomeno che senza lesione organica non si vedono delle cose o non si vedono delle cose, come le paralisi isteriche che non fanno sentire qualche parte del corpo senza lesioni organiche.
Inconscio (inconoscibile) Subconscio (sta sotto al conscio). Il rocchetto sotto il lettino che scompare e che poi riappare. Ma c’è la sparizione e la riapparizione, nonostante il fenomeno isterico, nonostante il rocchetto con il nipotino. Dopo la distruzione devo ricostruire ma invece c’è il riapparire. Da distruzione si deve andare a sparizione che significa rendere non esistente. Se sparisce non c’è e non c’è mai stata. Ma se la distrugge se la ricorda, ma se c’è un’altra cosa per cui sparisce è come se non ci fosse mai stata.
Uno diceva che stava tanto male perché c’era un’assenza e dietro all’assenza ci sarebbe stata una non esistenza, c’era un non esisti più e non era soltanto dimenticanza ma qualche altra cosa che faceva si che l’altra persona è sparita, non si vede e non si sente più.
Se non ci occupiamo della parte irrazionale non capiremo mai nulla della malattia mentale.
La parola pulsione, che esiste in tutte le lingue, e Freud diceva che la pulsione è la fame e la sete, invece questi sono fenomeno biologici normalissimi. Se la pulsione invece si attenesse ad altro? Quando viene fuori? Prima un assoluto iato che c’è tra prima e poi nel tempo e non tanto nello spazio che il feto esce dall’utero, conta il tempo questo prima e poi. Questo come si dice cambia tutto, che sia li la pulsione? Li emerge la pulsione.
Il pensiero umano non è dato dallo Spirito Santo, ma qualcosa che emerge dal corpo umano e poi non c’è più e sparisce. Ma se sparisce quando appare? Che c’è di nuovo alla nascita rispetto al feto? L’aria, freddi caldo. Ma per far funzionare il pensiero deve funzionare il cervello. Il pensiero che non funziona non è lesione organica. Nel linguaggio popolare si dice è venuto alla luce. E che sia la luce la cosa assolutamente nuova? La luce unico stimolo possibile per la sostanza cerebrale che è protettissima da tutte le parti salvo due finestrelle che sono gli occhi che si stimolano soltanto dalla luce. E che sia questo? L’elettroencefalogramma nell’utero è piatto, non funziona. Alla nascita si mette a funzionale con lo stimolo luminoso e che sia per l’emergenza della pulsione?
Il neonato si difende e fa una bella realizzazione fa sparire l’aria la luce, il freddo e il caldo, ma siccome non ha la ragione ha una fantasia di sparizione.
Di li la trasformazione. La malattia va cercata nell’inconscio. Nell’annullamento in quanto fantasia di sparizione si crea il pensiero dalla realtà biologica e non dallo Spirito Santo, e questa creazione del pensiero ha in primo luogo non il rapporto con la natura così come hanno affermato i filosofi Greci, ma il rapporto interumano, si forma la speranza certezza perché il mio pensiero è immagine, è memoria del liquido amniotico del contatto con il liquido amniotico che si traduce nel pensiero che è immagine o capacità di immaginare che c’è un altro essere umano. Se il neonato non pensasse questo morirebbe, io sarei morto e saresti morto anche tu che mi leggi.
Mentre questa necessità che ci sia un altro essere umano che lo protegge diventa pensiero dell’essere umano alla nascita. Per cui lo sviluppa nel rapporto e se il rapporto nel corso dei mesi funziona, questo pensiero si sviluppa e uno è sano per tutta la vita. Se invece il rapporto interumano non funziona non se ne capisce più niente.

venerdì 29 maggio 2009

Il Sud ha bisogno di imprese con un diverso tipo di razionalità




Il Sud ha bisogno di imprese con un diverso tipo di razionalità
di Antonio Bruno

“Il percorso della ricerca, come quello della speranza, ha inizio dove i fatti dichiarano che la realtà è più ampia di quella che vediamo, lanciando l’immaginazione oltre i limiti del possibile fino a quel momento conosciuto. L’innovazione, invece, avviene quando quella realtà immaginata, sperata e ricercata, diventa a sua volta un fatto. Il successo di un’esplorazione come questa dipende dalla credibilità del racconto che l’accompagna. E quella credibilità dipende dal contesto culturale, dal modo in cui si raccontano i fatti di partenza, dalla verosimiglianza della spiegazione immaginata, persino dall’energia del narratore. Insomma, il successo della ricerca e dell’innovazione è un vero e proprio atto di creazione. La consapevolezza di tutto questo può mancare negli specialisti. Ma l’economia della conoscenza non può farne a meno”. (Tratto da NOVA 24 di Luca De Biase)

Sono andato incuriosito da questo termine, dall’aggettivo “ATIPICO” (non tipico; che non presenta i caratteri pertinenti al tipo consueto). Ascoltare il Prof. Luca Meldolesi, il suo tono che sprizza scetticismo e delusione, è stato il dato centrale di ieri al Rettorato. Parla di Guido Piovene e del suo Viaggio in Italia agli inizi degli anni 60. Il Prof. Luca Meldolesi dice che si affermavano cose che sono valide ancora oggi come la circostanza per cui il letterato riesce a dire bene le cose riguardanti l’Italia e nel frattempo lo scienziato sociale non riesce a entrare nella questione.
Per il Prof. Luca Meldolesi vi sono tre flagelli ovvero il corporativismo, il clientelismo e l’illegalità frammista a criminalità di cui vi è necessità di liberarsi e a riprova ci dice che legge ogni giorno il Mattino di Napoli che è un vero e proprio bollettino di guerra.
Secondo il Prof. Luca Meldolesi bisogna aiutare la gente che si aiuta in assonanza a un libro della Banca Mondiale in cui si afferma che lo sviluppo si produce dall’interno.
Il Sud ha bisogno di imprese e fa l’esempio di un suo allievo, Vito Pertosa di Monopoli (Bari ) http://www.tgcom.mediaset.it/tgfin/articoli/articolo293529.shtml . Dice di Vito, racconta che è uno che osserva molto e parla poco e che a lui aveva detto della necessità di uscire dal sommerso perché innovazione e lavoro sono le chiavi per aprite la porta che fa uscire dai locali angusti della crisi. Vito Pertosa passa da un azienda di 30 dipendenti a un’azienda che ha 250 ingegneri. Gli ingegneri e tutti laureati pugliesi esistono e sono disponibili a lavorare solo che non trovano lavoro e se ne vanno a Milano!
Il Prof. Luca Meldolesi è convinto che tutti i problemi attuali si risolvono nella capacità effettiva di tutti di creare. Ma ciò deve essere uno sforzo vero, e soprattutto uno sforzo che deve essere solo privato. Basta osservare e così accade che una cosa buona deve essere imitata. Cita un altro suo allievo tal Bernardino di Avellino che osservava gli ospiti della costiera amalfitana pasteggiare con Vino Francese. Bernardino è andato a vedere cosa facevano in Francia, è tornato in Italia e l’ha fatto! Adesso i turisti della costiera pasteggiano con vino Avellinese!
Poi il Prof. Luca Meldolesi si ferma per dirci: “Ma attenti però! Si dice in giro che “Nel Regno delle due Sicilie” ci sia la tendenza a credere che sia BELLO fare IL SIGNORE! Che tradotto significa vivere sulle spalle altrui!” Il nostro Sud, i nostri vecchi paesi aristocratici, il Circolo dei Signori, insomma l’aristocrazia nobile prima, borghese poi e dei professionisti ora è la nostra CROCE E DELIZIA! La delizia sta nel fatto che questa struttura sociale ha fatto si che il 40% dei Beni Culturali del Mondo sia nella nostra penisola.
Ma c’è invece la croce, la peggior cosa che abbiamo ovvero quella di vivere sulle spalle altrui!
Secondo il Prof. Luca Meldolesi bisogna mettere avanti l’intrapresa per mobilitare così il mercato del lavoro.
Poi il Prof. Luca Meldolesi si avventura in una valutazione dei Centri per l'impiego.
I Centri per l'impiego sono le strutture dell'Agenzia del lavoro decentrate sul territorio provinciale, punto di riferimento per lavoratori e aziende che intendono utilizzare i servizi erogati. Secondo il Prof. Luca Meldolesi queste strutture dovrebbero aiutare a trovare un lavoro localmente e internazionalmente. Ma ciò non accade! Il Prof. Luca Meldolesi ripete che l’unica medicina è l’intrapresa. Auspica nel Mezzogiorno l’affermarsi di un Capitalismo dal volto umano e vede nel Salento una forte spinta all’imprenditorialità. Nel Mezzogiorno, sempre secondo il Prof. Luca Meldolesi, bisogna far passare il Valore di Capitalismo Popolare perché c’è un binomio inscindibile che è lo sviluppo unito alla democrazia ciò deve determinare uno sforzo per rimodernare il paese dal punto di vista della civilizzazione. Ci sono due spinte una che è quella sana che stenta ovvero la creazione d’impresa e invece c’è ancora imperante e dilagante la logica assistenziale.
Il Prof. Luca Meldolesi si ravviva quando parla dei giovani, è certo che si possa iniziare anche con 1.000 Euro, confida nel micro credito. Ma lancia l’allarme dei giovani che non hanno convinzione e che già da adesso dicono che “SI VOGLIONO SISTEMARE”.
Chiede un modello! Afferma che se qualcuno dei presenti gli propone un modello lui si impegna a riproporlo! Ma il problema è che le indicazioni vengono da Bruxelles e li pensano che tutta l’Europa sia come il territorio che circonda quella città.
Infine il Prof. Luca Meldolesi conclude affermando che Bruxelles dovrebbe invece essere al servizio dei territori.
Conclude il Prof. Raffaele De Giorgi, il Preside di Giurisprudenza che legge la giornata del 29 maggio 2009 attraverso una questione di fondo che deriva dall’amarezza delle pagine del Prof. Luca Meldolesi, la definisce la condivisione dell’amarezza. Poi ecco apparire la richiesta fatta al Prof. Luca Meldolesi dello sforzo di una condivisione di ottimismo. Una richiesta che presuppone un orizzonte aperto verso le preoccupazioni per il Sud. Il Sud, ovvero brandelli di società moderna sommersi, storicamente riproducentesi che affondano continuamente. Tutti i Sud, tutte le periferie che rischiano di essere sommerse.
Il Prof. Raffaele De Giorgi afferma che sono improcrastinabili le azioni volte a utilizzare strumenti descrittivi che permettano di osservare i Sud, che servano a stimolare un diverso tipo di razionalità per abbandonare l’uso della razionalità limitata quella che afferma che bisogna fare una cosa alla volta, razionalità limitate che può darsi che funzionino ma che non stanno funzionando adesso.
Conclude il Prof. Raffaele De Giorgi suggerendo al Prof. Luca Meldolesi un percorso che faccia trovare la possibilità di luoghi di produzione di Sud della Società Moderna. I buoni esempi sono belle cose, come gli uomini buoni sono delle belle cose, ma gli esempi da soli e gli uomini da soli non bastano.

giovedì 28 maggio 2009

I Messapi popolo di Minatori?
















I Messapi popolo di Minatori?
di Antonio Bruno

Nell’ambito dell’attività del Forum per la Pace nel Mediterraneo la Prof.ssa Liliana Giardino, titolare della cattedra di Urbanistica del Mondo classico dell'Università del Salento, il 28 maggio 2009 in una conferenza al Castello di Acaya ha illustrato quanto è emerso grazie agli scavi di questi ultimi anni in località Cunella (Muro Leccese – Lecce) . La prof.ssa Liliana Giardino ha illustrato, sia sotto l'aspetto archeologico che sotto quello antropologico, i dati emersi dalle tombe a semicamera e a fossa rinvenute a Muro Leccese nel 2003 - risalenti al V secolo a.C. - sa. La Prof.ssa Liliana Giardino ci ha illustrato i corredi rinvenuti, testimonianza sia dello stato sociale che delle credenze, dei miti, della religiosità, della vita quotidiana dei Messapi, antichi abitatori del Salento, ci ha poi parlato anche dell'età, del sesso, delle malattie, dell'altezza, e anche delle"malattie del lavoro" e professionali del tempo.Per esempio, uno scheletro rinvenuto negli scavi della Prof.ssa Liliana Giardino presentava due fratture ossee perfettamente saldate, segno evidente di intervento ortopedico. In un'altra tomba è stato invece rinvenuto uno sperone: l’individuo aveva una deformazione tipica di chi fa equitazione.
Ho ascoltato con grande interesse la relazione e la visione delle mura che non avevano alcuna funzione difensiva e fatte di pietre di cava calcarenitica mi ha fatto pensare a una delimitazione di città costituite da tante unità produttive di tipo agricolo. Il fatto che le case fossero costruite utilizzando il legno lascia pensare che dopo le mura ci fossero estesi boschi di Leccio. Inoltre l’ostentare tanta pietra può essere la rappresentazione della attività maggiore dei Messapi che potrebbe essere appunto quella estrattiva di calcarenite ceduta poi a tutto il mediterraneo attraverso il commercio greco.
Messapi popolo di minatori? Nessuno mi ha saputo rispondere.

sabato 23 maggio 2009

Il Forum per la Pace nel Mediterraneo incontra i bambini delle scuole di Martano







Il Forum per la Pace nel Mediterraneo incontra i bambini delle scuole di Martano
di Antonio Bruno

Il Forum per la Pace nel Mediterraneo ha incontrato l’Istituto Comprensivo Infanzia Primaria e secondaria di I grado “C. Antonaci” Martano (LE).
Ho domandato a un bambino quali erano i suoi sogni per il futuro. Ha risposto subito Francesco che voleva fare tanti soldi, diventare calciatore e sposare una velina.
Ma non era il solo a dire queste cose e ciò che è accaduto fa riflettere.
Oggi è difficile educare perché il nostro impegno di formare, a scuola, il cittadino che collabora, che antepone il bene comune a quello egoista, che rispetta e aiuta gli altri, è quotidianamente vanificato dai modelli proposti da chi possiede i mezzi per illudere che la felicità é nel denaro, nel potere, nell’emergere con tutti i mezzi, compresa la violenza.
A questa forza perversa il Forum per la Pace nel Mediterraneo contrappone l’invito all’educazione con tutti i mezzi.
A questa forza perversa il Forum per la Pace nel Mediterraneo contrappone l’invito all’educazione dei sentimenti: parlare di amore a chi crede nella violenza, parlare di pace preventiva a chi vuole la guerra.
Il Forum per la Pace nel Mediterraneo invita a imparare a fare cose difficili, come disse Gianni Rodari:
LETTERA AI BAMBINI
È difficile farele cose difficili:parlare al sordo,mostrare la rosa al cieco.Bambini, imparatea fare le cose difficili:a dare la mano al cieco,cantare per il sordo,liberare gli schiaviche si credono liberi.
Gianni Rodari

Il Forum per la Pace nel Mediterraneo incontra la Scuola Media Azzarita -De Filippo – Retti di Bari




Il Forum per la Pace nel Mediterraneo incontra la Scuola Media Azzarita -De Filippo – Retti di Bari


di Antonio Bruno



Quest’anno è il sessantesimo anniversario della Dichiarazione Universale dei diritti umani e il sessantesimo della Costituzione italiana. Il Forum per la Pace nel Mediterraneo nell’ambito della sua azione di educazione alla pace e ai diritti umani ha incontrato la Scuola Media Azzarita - De Filippo - Retti Via B. da Trani 15 Bari BA 080-5377724. Nell’incontro si sono elencate una serie di proposte concrete per accrescere l’impegno di educazione dei giovani alla pace e ai diritti umani ribadendo che la scuola ha una responsabilità speciale. E’ necessario che ogni istituto scolastico riesca ad avviare un percorso annuale che preveda la conoscenza dei diritti e che inserisca all’interno del POF (Piano di Offerta Formativa) delle azioni di educazione alla pace. Esse prevedono, di conseguenza, l’educazione alla convivenza, alla solidarietà, al rispetto dell’altro, all’ambiente, alle pari opportunità”.Nella presentazione sono stati illustrati i diritti e doveri di ognuno di noi perché conoscere i propri diritti è il primo passo per farli rispettare. Il Forum per la Pace nel Mediterraneo ha proposto che nelle classi della Scuola Media vengano affissi la bandiera dei diritti umani, il manifesto con la Dichiarazione Universale dei diritti umani e il manifesto con i principali diritti nominati uno per uno, per esempio: diritto alla vita, diritto all’acqua, diritto alla salute”. La scuola deve anche proseguire il proprio impegno sostenendo esperienze di gemellaggio con scuole di altri Paesi come quelle già avviate in Libano ed in Medio Oriente. Un obiettivo delle linee guida proposte all’incontro con la Scuola Media Azzarita-De Filippo – Retti Via B. da Trani 15 Bari BA 080-5377724è anche quello di incentivare il protagonismo giovanile con azioni dirette, mirate ad accrescere e potenziare il ruolo dei giovani nella costruzione di una cultura di pace.
Il Forum per la Pace nel Mediterraneo ha in animo di avviare un progetto per documentare quello che accade nelle scuole, per far sì che i giovani possano raccontare tutte le loro esperienze, sia positive che negative.Il Forum per la Pace nel Mediterraneo intende sostenere l’impegno delle giovani generazioni con un percorso di coinvolgimento diretto sui temi della cittadinanza, della democrazia e della partecipazione.

venerdì 22 maggio 2009

La Cecenia Oggi: hanno ragione tutti sino al punto di sopprimere la vita dell’altro.





























La Cecenia Oggi: hanno ragione tutti sino al punto di sopprimere la vita dell’altro.
di Antonio Bruno

Il 22 maggio 2009 alle 19, la Biblioteca Provinciale "N. Bernardini" (presso l’ex Convitto Palmieri) di Lecce ha ospitato il dibattito La Cecenia oggi: diritti umani e libertà di espressione - Francesca Gori incontra Majnat Abdulaeva.Ha Coordinato l’incontro Alizia Romanovic, Preside della Facoltà di Lingue e Letterature Straniere dell'Università del Salento.
Stavo andando al Rettorato per ascoltare una conferenza che non ho più potuto ascoltare perché sono arrivato in ritardo quando due ragazzi e una ragazza mi chiedono della Biblioteca Bernardini perché erano venuti da Cisternino per sentire parlare della Cecenia. Uno di loro fa su e giù dall’Irlanda e si chiama Nino Tropiano, mi dice che fa l’emigrante da tempo e si divide anche in Italia tra Cisternino e Monopoli. Con lui la biondissima Vittoria Fiumi anche lei con una residenza alle spalle in Inghilterra e Irlanda ma ache oggi si divide tra Bologna e Roma e infine Martin Baihman di Zurigo che spera tra due mesi di parlare in italiano ma che adesso parla solo inglese e tedesco.
Nell’incontro siamo seduti tutti e quattro a cui si aggiunge Giovanni Giangrande , ma soprattutto familiarizzo con Nino, Vittoria e Martin i tre ragazzi che arrivano da lontano per assistere a questo dibattito, tre ragazzi venuti per ascoltare Majnat Abdulaeva che è una giornalista cecena che ha vissuto e raccontato gli orrori della guerra. Durante la prima guerra cecena è stata testimone oculare dei massacri e dei rastrellamenti condotti dalle truppe russe nel suo villaggio natale, Šamaski, che hanno coinvolto anche alcuni dei suoi familiari più stretti; fra le due guerre ha lavorato come caporedattore per il canale televisivo nazionale della Repubblica Cecena di Ičkerija. All'inizio della seconda guerra cecena ha deciso di rimanere nella Groznyj assediata per poter documentare la guerra lavorando per il quotidiano moscovita «Novaja Gazeta» e per Radio Svoboda (Radio Liberty).
Nonostante le pressioni indirizzate a lei e alla sua famiglia affinché cessasse l'attività giornalistica, ha proseguito il suo lavoro come corrispondente dalla Cecenia fino all'agosto del 2004 quando, dopo reiterate minacce, è riuscita con l'aiuto di alcuni amici giornalisti ad abbandonare la Cecenia. Si è stabilita in Germania, dove per tre anni ha beneficiato dei sussidi del Centro Pen, che fornisce supporto, anche economico a scrittori e giornalisti perseguitati. Nel 2003 è stata finalista del premio Andrej Sacharov «Per il giornalismo come azione» per i suoi reportage da Groznyj.
Detto questo inizio dalla fine quando sommessamente ho detto che questa della Cecenia è una brutta storia. La prima traccia della presenza di soldati russi in territorio ceceno si ha nel 1577 quando i cosacchi si stabilirono nella regione del Terek. Parte dell'impero russo dal 1783, anche se con periodiche ribellioni (Imamato del Caucaso), Cecenia ed Inguscezia furono inglobate nella Repubblica Autonoma Socialista Sovietica Ceceno-Inguscia alla nascita dell'Unione Sovietica. Durante la Seconda guerra mondiale, i ceceni insorsero contro i russi e si allearono con i tedeschi, ma una volta che l'Armata Rossa ebbe ricacciato le truppe nemiche, Stalin ordinò una durissima punizione. Il 23 febbraio 1944 con l'Operazione Lentil in una sola notte un milione di cittadini ceceni vennero deportati dal governo centrale sovietico nella repubblica sovietica del Kazakhstan. Fu loro concesso di ritornare alla loro regione d'origine solo nel 1957.
Ora Majnat Abdulaeva racconta che anche lei che non è stata deportata quando ne parla dice “Quando siamo stati deportati” insomma la questione non si ferma, il dolore è ancora forte e si ripropone con questo modo di essere comunque partecipi anche se non si era presenti.
Ascoltavo Majnat Abdulaeva parlare delle “pretese russe” ci raccontava che nel Caucaso, in Cecenia qualsiasi avvenimento ha a che fare con il dolore e la sofferenza e quindi chi vuole raccontare questi paesi fa la cronaca di una guerra. Un guerra tra Cececina e Russa che pè una costante da 400 anni, che è più o meno intensa ma che è una costante.
Il padre di Majnat Abdulaeva era stato dichiarato nemico del popolo e trascinato in un Lager, un campo di concentramento, i suoi fratelli giovani sono stati dichiarati nemici del popolo. Lo zio fratello della madre prima eroe della II guerra mondiale e poi anche lui nemico del popolo sbattuto nel Lager.
Majnat Abdulaeva afferma che la Cecenia è l’arma dell’Occidente contro la Russia che quando deve essere ridimensionata viene accusata di crimini contro la Cecenia. Ma non c’è alcun aiuto concreto per questo popolo. Majnat Abdulaeva chiede Asili, Scuole e Ospedali per il suo paese, chiede che noi presenti facciamo veder un aiuto tangibile.
Majnat Abdulaeva ci racconta della paura di far ricorso alla Corte Europea di Strasburgo ma riferisce di un inizio di ricorsi presentati. La Cecenia è abitat da un popolo che ha il Clan come struttura antropologica (nel linguaggio antropologico il clan è un gruppo di persone unite da parentela, definita dalla discendenza riconosciuta da un antenato comune capostipite) e in queste strutture si rinnova la memoria della deportazione.
Poi Majnat Abdulaeva ci racconta del tragico assalto dei terroristi ceceni al teatro di Mosca "Dubrovka" che avvenne il 22 ottobre del 2002. Secondo le versioni ufficiali morirono 129 persone. Dice dei servizi segreti e delle provocazioni. Majnat Abdulaeva afferma che quelle donne non avevano scelta.
Io me ne sono restato in silenzio. Ho impresso nella mente il viso di Majnat Abdulaeva, il suo dolore. Non si può parlare del dolore delle persone.
Solo una annotazione finale. All’uscita due persone dicono la loro sull’evento. Uno afferma che questi popoli piccoli hanno bisogno del clamore e per questo è come se avessero necessità di essere perseguitati per avere l’attenzione internazionale, un’altra persona invece afferma che ci sono i burattinai che manovrano persone inconsapevoli.
Ma ci sono persone umane che muoiono ogni giorno in nome di cosa? Finisco con le parole del Prof. Raffaele De Giorgi Preside della Facoltà di Giurisprudenza dell’Università del Salento pronunciate in una presentazione al rettorato per un’altra iniziativa:
“…. l’umanità nasconde solo la violenza e i diritti umani sono enormi abissi di vuotezze riempiti dal livello di civilizzazione. I diritti umani non rappresentano una garanzia ma è una costruzione degli uomini. Infatti rendiamo l’uomo libero per renderlo imputabile, proprietario per applicare il diritto di proprietà. Sano di mente per poter dichiararlo pazzo. Il problema centrale è l’idea dell’uomo, l’idea dell’altro. Il problema è la questione del senso del senso.
(omissis) ………Capovolgiamo e osserviamo dallo schermo che ci da l’immagine tridimensionale di noi che ci relazioniamo con la realtà.
Le mode, quelle di dire che bisogna fare sistema, qualunque sia il discorso immediatamente qualcuno afferma che si, va bene, ma bisogna fare sistema. Cosa che puntualmente non fa nessuno. Mode! Come quella della riunione di politici e della seguente dichiarazione che dopo una riunione di 7 ore si era arrivati alla conclusione che Ognuno doveva prendersi la sua responsabilità. Come se ci fosse qualcuno disponibile a prendersela! Balle! Mode!
Guardiamoci, osserviamoci immersi in questo mondo e se lo facciamo con una certa regolarità ecco che il concetto di identità, cittadinanza e diversità ci apparirà per quello che è, ovvero parole prive di significato e quindi di senso…..”
Ma di tutto questo quell’uomo con la barba e quella donna non hanno sentore, non ne sanno nulla, non penso ne abbiano nemmeno sentito mai parlare. Se Majnat Abdulaeva potesse osservarsi mentre si relaziona con i Russi, con Putin e se Putin potesse osservarsi mentre si relaziona con i Ceceni!
Dovevo proprio scappare, Giovanni doveva parlarmi, Stefano doveva dirmi qualcosa ma sull’uscio della porta Vittoria Fiumi mi dice che è un’antropologa che ci sono dinamiche e io le dico che le sue dinamiche piaggiano nella ricerca di un CAPRO ESPIATORIO che viene ammazzato per placare la violenza che rischia di distruggere l’organizzazione antropologica artificiale chiamata Società Civile che produce i Russi e i Ceceni che a sentir loro hanno ragione, tutti sino al punto di sopprimere la vita dell’altro.
Meglio avere torto e poter vivere ognuno nel territorio che si è scelto.

giovedì 21 maggio 2009

Far fiorire la pace nel cuore duro degli uomini.


Far fiorire la pace nel cuore duro degli uomini.
di Antonio Bruno

Il Forum per la Pace nel Mediterraneo e l’Agenzia per la promozione dei giovani hanno organizzato a Galatina (Lecce) una sessione del Laboratorio Scritture di Pace diretto dalla Scrittrice Laura Madonna Indellicati.
L’appuntamento è sempre frequentatissimo e la scrittura si sta dimostrando un linguaggio che favorisce la divulgazione dei valori della Pace.
La pace è verde come un prato non inquinato. La pace è gialla come il sole non coperto da un aereo malintenzionato. La pace è azzurra come il cielo non macchiato dal fumo dei missili. La pace è multicolore come l'arcobaleno dopo un temporale.
Sono i colori della Pace che un bambino, Federico F. , ha regalato al mondo e, attraverso queste parole, ha reso possibile che questo valore sia diventato un immagine, un colore.
Il laboratorio che si sposta, quello degli zingari felici, è una immagine che sin propone agli altri, che lascia alla presenza l’espressione dell’attenzione che rivolgiamo all’altro. Spostarsi, andare in un posto nuovo, stabilire nuove relazioni, sperimentare nuove modalità di comunicazione, sono tutti strumenti che mettono le persone nelle condizioni di rapportarsi tra loro in maniera differente.
Lo stupore di uno sguardo che si abitua ad abbandonare le consuetudini, l’emozione di una voce che racconta le antiche genti, le passioni, gli amori insomma, il racconto della vita delle donne e degli uomini che hanno abitato nel corso dei secoli questo territorio, porta le persone a essere spinte dalle vela dell’incanto verso l’incontro con te che mi stai leggendo.
La scoperta che arriva con la narrazione è che le donne e gli uomini sono sempre venuti da lontano, hanno attraversato deserti e valicato montagne, hanno navigato mari e guadato fiumi per colonizzare nuove terre, per cercare di dare corpo alla speranza di una vita nuova.
Questo pianeta misterioso è stato girato in lungo e largo dalle donne e dagli uomini e i misteri si sono ridotti nel corso del tempo. Abbiamo raccontato delle tradizioni dei popoli, delle caratteristiche dei luoghi e delle passioni umane. Conosciamo tutto di tutti ma l’uomo è sempre un mistero che per essere svelato necessita di attenzione, di rispetto e di considerazione e di qualcos’altro che deve esserci svelato.
Questo e tante altre cose nelle scritture di pace. Ciò che hai letto sin’ora e quello che durante questa lettura ti è venuto in mente, sono scritture di pace, parole impregnate di significati.
Prendi in una mano le tue parole che in quest’attimo sono germinate dentro di te, raccoglile con affetto, deponile delicatamente su un foglio bianco e porgile a me, a te stesso e a chi, passando distrattamente da queste parti, può prenderle liberamente e leggerle nel profondo della sua anima. Magari le parole, le mie povere parole, cadendo distrattamente sul cuore del viandante, germineranno ancora e poi di nuovo per continuare a far fiorire la pace nel cuore duro degli uomini.

Il laboratorio della PACE











Il laboratorio della PACE
di Antonio Bruno

Ci si incontra e ci si scontra facendo le cose. Un conto è progettare e un conto è realizzare. Quanta passione in questi giorni che ci vedono impegnati nell’organizzazione del Convegno del 4 giugno 2009! Ci siamo detti tutto e in questo comunicare noi stessi, all’altro diverso da noi, abbiamo imparato qualcosa di ognuno che ci ha resi meno misteriosi. Non ci siamo totalmente svelati, ma ci siamo maggiormente conosciuti, e abbiamo scoperto anche aspetti della nostra persona che erano celati persino a noi stessi. Io mi esprimo attraverso le parole, credo nella capacità che hanno di germinare e spero di non spargerle invano. Come queste povere parole che vi porgo, che spero vi emozionino almeno un po’, come mi stanno emozionando rileggendole, povere parole che auspico servano a farci mettere a fuoco la ricchezza e l’unicità dell’esperienza che stiamo vivendo. Donatella, Virginia, Daniela, Alberto, Stefano Edoardo e Antonio, un manipolo di donne e uomini che tentano l’impresa. Si incontrano, si danno delle priorità, si scontrano, convergono e divergono sugli aspetti organizzativi ma tutti, proprio tutti, hanno a cuore solo la convivenza pacifica tra tutte le persone umane del Pianeta. Non è forse vero che guardiamo a tutte le persone umane e a tutte le genti? Non vi sembra che posiamo lo sguardo a tutte le persone e prime tra tutte quelle che stanno sulle rive del grande lago salato, quelle che da sempre si incontrano costeggiando la riva e passando da porto in porto, da villaggio in villaggio in questo che fu il mondo e che oggi rappresenta la culla della civiltà di tutto il pianeta?
Tutti convergono nel Mediterraneo, tutti prendono spunto da ciò che accade in questo posto sperduto dell’Universo. E noi di questo territorio di Acaya, noi che siamo immersi al centro del grande Lago salato, abbiamo avuto in dono dall’illuminato Dott. Giulio Cesare Giordano Vice Segretario Generale e Delegato Generale per l’Europa del Forum per la Pace nel Mediterraneo una nave che ha una forma di castello, una grande nave immersa nel bel mezzo del Mediterraneo che rappresenta la cerniera tra i popoli che hanno attraversato questo mare sin dalla fondazione del Mondo.
Eccoci al lavoro in questo laboratorio che è aperto, che desidera rappresentare l’inizio di una grande avventura, che non esclude nessuno e che non distingue le appartenenze. Noi siamo i servitori della libertà, i propugnatori della convivenza, i sognatori della Pace e speriamo di essere all’altezza delle aspettative che il Forum ha nei riguardi delle nostre modestissime persone.

mercoledì 20 maggio 2009

Cantami o Diva…la gioia eccelsa che infiniti auspici indusse agli ACHEI







Cantami o Diva…la gioia eccelsa che infiniti auspici indusse agli ACHEI
di Antonio Bruno

Il Forum per la Pace nel Mediterraneo nella sua sede per l’Europa al Castello di Acaya ha ospitato gli Achei. Ma come? Non sai chi sono gli Achei? Sono i cittadini di Acaia!
Si sta preparando il corteo storico di questo Borgo. Acaya, anticamente chiamata Segine, fu fatta fortificare nel 1535 dal Regio Ingegnere militare Gian Giacomo dell’Acaya, su indicazione del re Carlo V, con lo scopo di renderla punto difensivo, utilizzandola come “scudo” di fronte alle continue minacce dei Turchi, che nel Salento si macchiarono di atroci delitti, in particolare l’eccidio dei Santi Martiri di Otranto.
Tutti infervorati e tutti che dicono la loro opinione su come organizzare l’evento che vede protagonisti tutti gli Achei di terra d’Otranto.
Un bambino entra nel castello e chiede se dentro c’è papà, e la gentile signora che sta nell’atrio che non lo sa, che gli dice d’entrare. Uno scricciolo che penetra nei locali che furono le scuderie e che scruta nella sala per cercare il suo papà. Un bambino che 474 anni dopo la costruzione entra nel castello per fare insieme agli altri qualcosa di buono e che vive sicuro, sereno, senza pericoli d’invasione.
Mi sono venuti in mente i bambini delle foto di Kash Gabriele Torsello i luoghi dei conflitti, i luoghi delle partenze per venire sino alla terra promessa chiamata Occidente che brilla nei teleschermi delle TV.
Continuano a parlare gli Achei, dicono delle risorse finanziarie, dicono che ce ne vorrebbero di più. Ospiti del Forum ma anche noi del Forum loro Ospiti. Ospiti di una terra amica che incarna la libertà.

martedì 19 maggio 2009

Le studentesse e gli studenti dell’Università del Salento progettano la Pace











Le studentesse e gli studenti dell’Università del Salento progettano la Pace
di Antonio Bruno

Continua l’attività del Forum per la Pace nel Mediterraneo finalizzata alla divulgazione dei valori della Pace. In questo ambito si è svolto un incontro con gli Studenti della Facoltà di Lingue e Letterature Straniere dell’Università del Salento in cui si sono illustrate le iniziative del Forum per la Pace nel Mediterraneo.
Tutte le iniziative sono state organizzate dal Comitato Scientifico del Forum specificamente si sono illustate quelle che si stanno svolgendo in questi giorni tra cui il Laboratorio “Scritture di Pace”, gli incontri con le scuole elementari, medie e superiori nel Castello di Acaya, i seminari formativi, le conferenze e dibattiti e il prossimo Seminario “Economia alternativa e solidale: una risposta possibile alla crisi” che si terrà Giovedì 4 giugno 2009 dalle ore 9,30 alle ore 18,00 presso la Biblioteca provinciale Bernardini di Lecce che è sita nel complesso del Convitto Palmieri che è ubicato nel centro storico di Lecce, tra via Cairoli, piazzetta Carducci e via Caracciolo e occupa complessivamente una superficie di circa 11mila metri quadrati tra spazi interni, chiostri e giardino.
Come posso favorire la convivenza pacifica tra i popoli? Questa è stata la domanda a cui hanno risposto le giovani studentesse e i giovani studenti universitari convenuti nella Biblioteca dell’ Edificio Buon Pastore in Via Taranto al n° 35 di LECCE.
La considerazione che è risultata condivisa è che la mancanza di conoscenza tra le persone determina la paura e conseguentemente la chiusura e l’atteggiamento di difesa che non consente l’accoglienza dell’altro, sia che l’altro sia il singolo sia che sia un popolo.
Ecco che la prima cosa che le giovani studentesse e i giovani studenti universitari hanno considerato un emergenza da affrontare e risolvere è risultata essere quella fi favorire in ogni modo possibile la conoscenza tra le persone umane ed i popoli. Gli studenti, tutti della Facoltà di Lingue e Letterature Straniere dell’Università del Salento, hanno messo a disposizione del Forum le loro competenze linguistiche e la loro conoscenza delle culture dei popoli per favorire la conoscenza e hanno preso l’impegno di elaborare dei progetti per realizzarla in concreto in collaborazione con la Sede Europea del Forum per la Pace nel Mediterraneo del Catello di Acaya.

domenica 17 maggio 2009

Il Forum per la Pace nel Mediterraneo incontra gli studenti dell’ l’ISTITUTO ISTRUZIONE SECONDARIA SUPERIORE " ANTONIETTA DE PACE ". VIALE MARCHE N.19





























Il Forum per la Pace nel Mediterraneo incontra gli studenti dell’ l’ISTITUTO ISTRUZIONE SECONDARIA SUPERIORE " ANTONIETTA DE PACE ". VIALE MARCHE N.19 - 73100 LECCE (LE).
di Antonio Bruno

Il Forum della Pace nel Mediterraneo è una organizzazione non governativa internazionale (IONG) senza fini di lucro, retta dalla Legge francese del 1901, che riunisce figure accademiche e religiose, uomini e donne di cultura, artisti, personalità del mondo degli affari, della politica, dell’economia nonché del mondo dei media, con lo scopo di far lavorare insieme il settore pubblico e quello privato per il raggiungimento degli obiettivi che esso si prefigge.
Il Forum ha proprie sedi in Africa (sede Cairo in Egitto) , in Asia e in Europa. Questa visione di un partenariato paritario tra i 3 continenti, contribuirà alla creazione di un comune sentire che faciliterà la creazione di un insieme mediterraneo, economico e sociale, basato sulla realtà multiculturale dell’area e multipolare del pianeta.
Dal 15 Aprile 2008 il Forum ha la sua sede europea nel Castello di Acaya, nell’omonimo borgo situato vicino a Lecce, messo a disposizione a titolo gratuito dalla locale Amministrazione Provinciale che ne è la proprietaria.
Nell’ambito delle attività della sede Europea nel Castello di Acaya il Forum ha incontrato l’ISTITUTO ISTRUZIONE SECONDARIA SUPERIORE " ANTONIETTA DE PACE ". VIALE MARCHE N.19 - 73100 LECCE (LE).
Nell’incontro si è detto agli studenti presenti che il Centro di Acaya ha come prima missione quella di riunire tutti gli attori della società civile europea che credono nella necessità di stabilire una Pace durevole nel Mediterraneo e di operare affinché i popoli dell’ area apprendano a VIVERE INSIEME !
Il colloquio ha preso spunto dalle difficoltà di vivere insieme che sono rappresentate dalla limitatezza delle risorse. Gli studenti si sono intrattenuti riflettendo attraverso l’esempio dell’innamoramento per una persona da parte di più soggetti, comune nella loro età, sull’insorgenza di conflitti tra loro per accaparrarsi l’oggetto del proprio desiderio. Gli studenti hanno convenuto che tale situazione di conflittualità può essere risolta attraverso il dialogo che è appunto una delle modalità per favorire la Pace adottate dal Forum.
A questo incontro altri ne seguiranno presso l’ l’ISTITUTO ISTRUZIONE SECONDARIA SUPERIORE " ANTONIETTA DE PACE ". VIALE MARCHE N.19 - 73100 LECCE (LE).


I Membri fondatori del Forum si compongono di diciassette personalità che condividono valori comuni di pace e di tolleranza, e fra questi alcuni, nonostante siano originari di paesi non mediterranei, vogliono contribuire alla costruzione di una nuova strategia di ristrutturazione culturale ed economica nel Mediterraneo.

Il Bureau del Forum si compone di 7 Membri:

Presidente:
- lo sceicco saudita Mohamed Bin Issa Al-Jaaber, che dal gennaio scorso ha preso il posto dell’ex Primo ministro palestinese M. Ahmad QURIE, Capo del gruppo di negoziazione con Israele (ora presidente onorario).;

Vice-presidenti:
-Prof. Federico MAYOR, Presidente della Fondazione Cultura della Pace, ex Direttore Generale dell’UNESCO;
- Dr. Avi Moshe GIL, economista, ex direttore di gabinetto di Shimon Peres;
- Cheikh Mohammed Ben Issa Al-Jaber, Presidente e Direttore Generale di MBI International;
- Senatore Giovanni Pellegrino Presidente della Provincia di Lecce

Segretario generale:

- Dr. Omar MASSALHA, Ambasciatore, ex Direttore all’UNESCO.

Vice Segretario generale:
- Prof. Giulio C. GIORDANO, Membro Fondatore del Forum, sono affidate inoltre le funzioni di Delegato Generale per l’Europa e per tale motivo, anche quelle di Coordinatore del Centro di Acaya.

Tesoriere:
- Prof. Philippe SAUNIER, Vice-Presidente dell’Università di Nizza Sophia- Antipolis.

Consigliere in Comunicazione:
- M. Emile Haïm MALET, Direttore della rivista «Passages».

domenica 10 maggio 2009

Le cose dell’amore che non sono amore



Le cose dell’amore che non sono amore
di Antonio Bruno


A San Cesario di Lecce sabato 9 maggio Umberto Galimberti ha parlato del suo libro del 2004 Le cose dell’amore.
C’era moltissima gente a riempire letteralmente l’atrio del Palazzo Ducale. Ho ascoltato quello che segue.
L’uomo teme ciò che fa perdere l’ordine e Dioniso collassa l’ordine. L’umano è collegato con la ragione e l’antecedente della ragione è la follia. Lo scenario della follia è abitato da Dio.
L’uomo abita invece lo scenario della ragione.
Quando tu dici “Io faccio cose dell’amore” stai mentendo, perché io non dispone delle cose dell’amore.
Socrate soffriva di attacchi di ATOPIA che viene da Topos che significa luogo. Atopia significa “fuori dal luogo” ovvero dislocazione.
Se vuoi entrare nelle cose dell’amore devi essere nell’atopia.
Ragione e poi sotto di lei la follia e noi siamo diversi per la specifica follia. Nel linguaggio delle cose dell’amore non c’è singolare o plurale ma duale. Con l’atopia entri nelle cose dell’amore.
E “Io non può entrare nelle cose dell’amore” perché “Io” è posseduto delle cose dell’amore. Come la parola entusiasmo che significa dentro di me ho un Dio, e il poeta ha entusiasta dice cose ispirate da Dio e infatti ci si esprime contaminati da adiacenze di significati..
Il Dio è violenza perché non sta nelle regole e nelle cose dell’amore c’è il raptus che significa rapito da cosa altra. Le cose dell’amore sono agitazione sia quando ci avviciniamo con tenerezza che quando ci allontaniamo con sguardo feroce.
La filosofia sa di non sapere. Il filosofo sa di non sapere nulla e che la verità è in ogni uomo. Il filosofo ha EPISTEME (ciò che sta su da solo) ovvero il sapere. Sta su da solo e non si appoggia in base agli effetti o in nome dell’autorità o per la fascinazione.
Acta Erotica le cose dell’amore vengono insegnate da una donna.
La follia è antecedente alla razionalità ed è sede delle cose dell’amore e c’è Afrodite che con Ares (Marte) genera il Dio delle cose dell’amore che sono pulsione sessuale e aggressiva che non appartengono all’io. Platone afferma che le cose dell’amore vivono di mancanza, di povertà (Penia = Povertà , miseria) e tale mancanza genera il desiderio (Epizimia) ovvero aprire un varco tra le stelle.
Nel De Bello Gallico appaiono i desiderantes che passano la notte ad attendere chi non è ritornato. Il desiderio è mancanza e la via d’uscita è rappresentata dalle cose dell’amore e continuiamo a occuparci delle cose dell’amore finchè l’altro ci rimane nascosto, quando dell’altro sappiamo ecco che le cose dell’amore finiscono.
L’altro se vogliamo che sia delle cose dell’amore deve esserci nascosto ed enigmaticamente buio. Tra chi accadono le cose dell’amore?
Tra IO e TU. Io attraverso te scendo nella mia follia così come tu attraversoi me scendi nella tua follia. Condizione sopsistica (Il solipsismo (dal latino solus solo e ipse stesso, ossia "solo se stesso" è la credenza metafisica che l'esistenza in quanto tale sia solo parte degli stati mentali dell'individuo stesso, in altri termini: tutto ciò che esiste è creato dalla o è parte della mia conoscenza).
Nelle cose dell’amore quando l’altro ci lascia diciamo che ci ha portato via l’anima perché se lei non c’è io non posso scendere nella mia follia. Le cose dell’amore è ermeneutiche che significa interpretano traducono il linguaggio degli uomini agli dei.
Le cose dell’amore sonoquelle che mettono in comunicazione l’IO ovvero la ragione con l’inconscio ovvero gli dei il risultato è che le cose dell’amore non generano ma aiutano a generare. Dopo aver avuto accesso alle cose dell’amore l’io non è più quello di prima. Nelle cose dell’amore c’è maieusis, aiuta la generazione dell’io e dopo una storia l’io ha delle tracce che possono essere ornamenti o ferite.
Poi la circostanza che Platone affermava che ognuno di noi è la metà di quello che era in origine, ovvero ognuno di noi è il simbolo di un uomo. Solo che simbolo significa mettere assieme non è invece il segno che praticamente rappresenta qualcosa come Una torre (segno fallico) o una caverna (segno femminile).
C’è qualcosa che manca per fare senso che possiede l’altra metà.
Ciò che ho ascoltato è riferito alle cose dell’amore e tutto quanto detto è quello che l’amore non è, e mi ha arricchito nella conoscenza della cultura Greca e della descrizione della passioni umane consce e inconsce. Nulla a che vedere con Paolo di Tarso e con il suo Inno all’amore dove invece ho trovato una descrizione molto vicina alla mia esperienza e sempre nulla a che vedere agli effetti dell’amore descritti nel Vangelo dalle Beatitudini.

Umberto Galimberti

Gli amanti che passano la vita insieme non sanno dire che cosa vogliono l’uno dall’altro. Non si può certo credere che solo per il commercio dei piaceri carnali essi provano una passione così ardente a essere insieme. E’ allora evidente che l’anima di ciascuno vuole altra cosa che non è capace di dire, e perciò la esprime con vaghi presagi, come divinando da un fondo enigmatico e buio.
PLATONE, Simposio, 192 c-d

Perché un libro sull'amore? Perché, rispetto alle epoche che ci hanno preceduto, nell'età della tecnica l'amore ha cambiato radicalmente forma. Da un lato è diventato l'unico spazio in cui l'individuo può esprimere davvero se stesso, al di fuori dei ruoli che è costretto ad assumere in una società tecnicamente organizzata, dall'altro lato questo spazio, essendo l'unico in cui l'io può dispiegare se stesso e giocarsi la sua libertà fuori da qualsiasi regola e ordinamento precostituito, è diventato il luogo della radicalizzazione dell'individualismo, dove uomini e donne cercano nel tu il proprio io, e nella relazione non tanto il rapporto con l'altro, quanto la possibilità di realizzare il proprio sé profondo, che non trova più espressione in una società tecnicamente organizzata, che declina l'identità di ciascuno di noi nella sua idoneità e funzionalità al sistema di appartenenza.

Per effetto di questa strana combinazione, nella nostra epoca l'amore diventa indispensabile per la propria realizzazione come mai lo era stato prima, e al tempo stesso impossibile perché, nella relazione d'amore, ciò che si cerca non è l'altro, ma, attraverso l'altro, la realizzazione di sé.

Nelle società tradizionali, da cui la tecnica ci ha emancipato, vi era poco spazio per le scelte del singolo e la ricerca della propria identità(...).

Oggi l'unione di due persone non è più condizionata dalla lotta quotidiana per la sopravvivenza, o dal mantenimento e dall'ampliamento della propria condizione di privilegio sociale e di prestigio, ma è il frutto di una scelta individuale che avviene in nome dell'amore, sulla quale le condizioni economiche, le condizioni di classe o di ceto, la famiglia, lo Stato, il diritto, la Chiesa non hanno più influenza e non esercitano più alcun potere, sia in ordine al matrimonio dove due persone in completa autonomia si scelgono, sia in ordine alla separazione e al divorzio dove, in altrettanta autonomia, i due si congedano.


L'amore perde così tutti i suoi legami sociali e diventa un assoluto (solutus ab, sciolto da tutto), in cui ciascuno può liberare quel profondo se stesso che non può esprimere nei ruoli che occupa nell'ambito sociale (...).

L'amore diventa a questo punto la misura del senso della vita, e non ha altro fondamento che in se stesso, cioè negli individui che lo vivono, i quali, nell'amore, rifiutano il calcolo, l'interesse, il raggiungimento di uno scopo, persino la responsabilità che l'agire sociale richiede, per reperire quella spontaneità, sincerità, autenticità, intimità che nella società non è più possibile esprimere (...).

È come se l'amore reclamasse, contro la realtà regolata dalla razionalità tecnica, una propria realtà che consenta a ciascuno, attraverso la relazione con l'altro, di realizzare se stesso. E in primo piano, naturalmente, non c'è l'altro, ma se stesso. E questo di necessità, quindi al di fuori di ogni buona o cattiva volontà, perché a chi sente di vivere in una società che non gli concede alcun contatto autentico con il proprio sé, come si può negare di cercare nell'amore quel sé di cui ha bisogno per vivere e che altrove non reperisce?

Ma così l'amore si avvolge nel suo enigma: il desiderare, lo sperare, l'intravedere una possibilità di realizzazione per se stessi cozzano con la natura dell'amore che è essenzialmente relazione all'altro, dove i due smettono di impersonare ruoli, di compiere azioni orientate a uno scopo e, nella ricerca della propria autenticità, diventano qualcosa di diverso rispetto a ciò che erano prima della relazione, svelano l'uno all'altro diverse realtà, si creano vicendevolmente ex novo, cercando nel tu il proprio se stesso.

Se tutto ciò è vero, nell'età della tecnica, dove sembrano frantumati tutti i legami sociali, l'amore, più che una relazione all'altro, appare come un culto esasperato della soggettività, in perfetta coerenza con l'esasperato individualismo cui non cessa di educarci la nostra cultura, per la quale l'altro è solo un mezzo per l'accrescimento di sé (...).

L'amore non è ricerca della propria segreta soggettività, che non si riesce a reperire nel vivere sociale. Amore è piuttosto l'espropriazione della soggettività, è l'essere trascinato del soggetto oltre la sua identità, è il suo concedersi a questo trascinamento, perché solo l'altro può liberarci dal peso di una soggettività che non sa che fare di se stessa.

Che cos'è quel desiderarsi degli amanti, quel loro cercarsi e toccarsi se non un tentativo di violare i loro esseri nella speranza di accedere a quel vertice morale che è la comunicazione vera, al di là di quella finta comunicazione a cui ci obbliga la nostra cultura della funzionalità e dell'efficienza?

Per essere davvero il controaltare della tecnica e della ragione strumentale che la governa, amore non può essere la ricerca di sé che passa attraverso la strumentalizzazione dell'altro, ma deve essere un'incondizionata consegna di sé all'alterità che incrina la nostra identità, non per evadere dalla nostra solitudine, né per fondersi con l'identità dell'altro, ma per aprirla a ciò che noi non siamo, al nulla di noi (...).

Per questo diciamo che amore non è una cosa tranquilla, non è delicatezza, confidenza, conforto. Amore non è comprensione, condivisione, gentilezza, rispetto, passione che tocca l'anima o che contamina i corpi. Amore non è silenzio, domanda, risposta, suggello di fede eterna, lacerazione di intenzioni un tempo congiunte, tradimento di promesse mancate, naufragio di sogni svegliati. Amore è violazione dell'integrità degli individui, è toccare con mano i limiti dell'uomo.

La cosa più difficile da trovare nei legami amorosi, è l'amore...


Tutta la religione della spontaneità, della libertà, della creatività, della sessualità gronda del peso del produttivismo; anche le funzioni vitali si presentano immediatamente come funzioni del sistema economico. La stessa nudità del corpo, che pretende di essere emancipata e progressista, lungi dal trovare la naturalezza al di là degli abiti, dei tabù, della moda, passa accanto al corpo come equivalente universale dello spettacolo delle merci, per scrivere i suoi segni univoci, che si evidenziano nel linguaggio dei bisogni indotti e dei desideri manipolati.Riferimento: La frase riportata è estrapolata dal cap IX "Amore e seduzione. La trasparenza delle vesti e l'inganno del desiderio" pag. 83.
È una frase che racchiude l'essenza della società consumistica in cui viviamo, dove la seduzione è utilizzata come mercificazione di una sovrastruttura l'immagine che può essere da tutti fruita e consumata e che sostituisce l'oggetto del desiderio. Tale oggetto, anche se posseduto, non ha valore perché la sessualità rende il corpo inespressivo, poiché la vera seduzione, come dice lo stesso autore, "... è possibile solo quando il corpo mantiene tutta la sua polivalenza di senso, e non si riduce a quel significato univoco che è il sesso, così come nella nostra cultura è stato codificato."
Il libro "Le cose dell'amore" inizia con una dedica "A Tatjana per ragioni che mi sono in parte note e in parte ignote" spiegata successivamente da un passo tratto dal "Simposio" di Platone che riporto in parte "Gli amanti che passano la vita insieme non sanno cosa vogliono l'uno dall'altro (...) l'anima di ciascuno vuole altra cosa che non è capace di dire (...) come divinando da un fondo enigmatico e buio."
L'essenza dell'Amore Platonico - spesso interpretato arbitrariamente come un semplice idillio di due anime - viene ri-qualificato in molte opere di Umberto Eco e in questo libro, molto semplice e scorrevole, è evidenziato il suo totale annullamento nel mondo odierno, poiché la seduzione elude il desiderio e non consente di coglierne la trascendenza sottesa.


“…. L’amore non è possesso, perché il possesso non tende al bene dell’altro, ma solo al mantenimento della relazione che , lungi dal garantire la felicità, che è sempre nella ricerca e nella coscienza di sé, la sacrifica in cambio della sicurezza. Siamo in due, non sappiamo più chi siamo, ma siamo insieme ad affrontare i mondo.”

Le cose dell'amore -
A differenza dell’animale l’uomo sa di dover morire. Questa consapevolezza lo obbliga al pensiero dell’ulteriorità che resta tale comunque la si pensi abitata: da Dio o dal nulla. Ciò fa del futuro l’incognita dell’uomo e la traccia nascosta della sua angoscia segreta. Non ci si angoscia per “questo” o per “quello”, ma per il nulla che ci precede e che ci attende. Ed essendoci il nulla all’ingresso e all’uscita della nostra vita, insopprimibile sorge la domanda che chiede il senso del nostro esistere. Un esistere per nulla o per Dio?
Ma qui siamo già nel repertorio delle risposte, delle argomentazioni, delle conversioni, delle disperazioni. Io vorrei trovare l’essenza dell’amore che, come vuole Norman Brown, “è toglimento di morte (a-mors)”, prima di queste domande e risposte, vorrei trovarla là dove l’uomo tende il suo urlo, anche sommesso, al di là dell’esistenza e chiede ascolto. Chiama questo ascolto Dio: ignoto Tu, che supplisce all’indifferenza della terra e delle macchinazioni che si compiono sulla terra.
Sembra, infatti, che il dialogo tra Io e Tu sia insoddisfacente, che gli spazi di silenzio e di incomprensione, al di là della buona volontà e delle buone intenzioni, esigano una comprensione superiore.
Sembra che la solitudine del cuore sia così abissale da non essere raggiunta da nessuna voce umana.
Sembra che l’intensità della passione non trovi corrispondenza nell’amore e nell’ira che gli uomini possono vicendevolmente scambiarsi.
Sembra che la solitudine non possa neppure costituirsi, e tanto meno un dialogo interiore, se l’altra parte non ha un volto sovrumano.
Sembra che la metafora dell’inconscio sia troppo povera per contenere quel patire che solo nei simboli religiosi trova l’altezza della sua iconografia.
Sembra che le vette della mente non sappiano perché si protendano verso il cielo, se il cielo è vuoto. E neppure perché l’esilio, a cui ci avvicina la disperazione, possa essere immaginabile senza un inferno che ce lo prefiguri come corrispondenza immaginifica dell’anima.
Nell’atmosfera creata da queste inquiete domande, tutte le parole che quotidianamente impieghiamo nel mondo rivelano la loro afasia. E allora solo l’amore, con la vibrazione delle sue folgorazioni, può favorire quel cedimento della mente che è necessario, perché la roccaforte della ragione, a differenza del cuore, è incapace di sfiorare la verità senza possederla. Infatti, come scrive il teologo greco-ortodosso Christos Yannaras:

Se ti sei innamorato una volta, sai ormai distinguere la vita da ciò che è supporto biologico e sentimentalismo, sai ormai distinguere la vita dalla sopravvivenza. Sai che la sopravvivenza significa vita senza senso e sensibilità, una morte strisciante: mangi il pane e non ti tieni in piedi, bevi acqua e non ti disseti, tocchi le cose e non le senti al tatto, annusi il fiore e il suo profumo non arriva alla tua anima. Se però l’amato è accanto a te, tutto, improvvisamente, risorge, e la vita ti inonda con tale forza che ritieni il vaso di argilla della tua esistenza incapace a sostenerla. Tale piena della vita è l’eros. Non parlo di sentimentalismi e di slanci mistici, ma della vita, che solo allora diventa reale e tangibile, come se fossero cadute squame dai tuoi occhi e tutto, attorno a te, si manifestasse per la prima volta, ogni suono venisse udito per la prima volta, e il tatto fremesse di gioia alla prima percezione delle cose. Tale eros non è privilegio né dei virtuosi né dei saggi, è offerto a tutti, con pari possibilità. Ed è la sola pregustazione del Regno, il solo reale superamento della morte. Perché solo se esci dal tuo Io, sia pure per gli occhi belli di una zingara, sai cosa domandi a Dio e perché corri dietro di Lui.


© Feltrinelli

In breve

L’eros declinato in tutte le sue “figure”. L’attrazione, il corteggiamento, la seduzione, il tradimento, la separazione, la solitudine, l’onanismo. Gli “enigmi dell’amore” rivisitati, alla luce del tempo che chiamiamo nostro, da un grande filosofo morale.


Il libro
“Quando dico ‘ti amo’ che cosa sto dicendo di preciso? E soprattutto chi parla? Il mio desiderio, la mia idealizzazione, la mia dipendenza, il mio eccesso, la mia follia? E come si trasforma questa parola quando il desiderio si satura, l’idealizzazione delude, la dipendenza si emancipa, l’eccesso si riduce, la follia si estingue? Non c’è parola più equivoca di ‘amore’ e più intrecciata a tutte quelle altre parole che, per la logica, sono la sua negazione. Tutti, chi più chi meno, abbiamo fatto esperienza che l’amore si nutre di novità, mistero e pericolo e ha come suoi nemici il tempo, la quotidianità e la familiarità. Nasce dall’idealizzazione della persona amata di cui ci innamoriamo per un incantesimo della fantasia, ma poi il tempo, che gioca a favore della realtà, produce il disincanto e tramuta l’amore in un affetto privo di passione o nell’amarezza della disillusione. Qui Freud ci pone una domanda: ‘Quanta felicità barattiamo in cambio della sicurezza?’.” Umberto Galimberti ci consegna un volume (che in parte raccoglie suoi articoli pubblicati dal quotidiano “la Repubblica”) in cui l’acutezza del pensiero penetra i meandri del sentimento e del desiderio e il lettore morale registra i mutamenti intervenuti nella modalità di vivere (e patire) le dinamiche dell’attrazione, il patto con l’amato/a, la trama di autenticità e menzogna del rapporto amoroso, i percorsi del piacere (dall’onanismo alla perversione). Sullo sfondo si muove, come un fantasma, continuamente evocato e rimosso, quello che propriamente o impropriamente gli uomini non smettono di chiamare amore.

Dal primo capitolo
A differenza dell’animale l’uomo sa di dover morire. Questa consapevolezza lo obbliga al pensiero dell’ulteriorità che resta tale comunque la si pensi abitata: da Dio o dal nulla. Ciò fa del futuro l’incognita dell’uomo e la traccia nascosta della sua angoscia segreta. Non ci si angoscia per "questo" o per "quello", ma per il nulla che ci precede e che ci attende. Ed essendoci il nulla all’ingresso e all’uscita della nostra vita, insopprimibile sorge la domanda che chiede il senso del nostro esistere. Un esistere per nulla o per Dio?
Ma qui siamo già nel repertorio delle risposte, delle argomentazioni, delle conversioni, delle disperazioni. Io vorrei trovare l’essenza dell’amore che, come vuole Norman Brown, "è toglimento di morte (a-mors)", prima di queste domande e risposte, vorrei trovarla là dove l’uomo tende il suo urlo, anche sommesso, al di là dell’esistenza e chiede ascolto. Chiama questo ascolto Dio: ignoto Tu, che supplisce all’indifferenza della terra e delle macchinazioni che si compiono sulla terra.
Sembra, infatti, che il dialogo tra Io e Tu sia insoddisfacente, che gli spazi di silenzio e di incomprensione, al di là della buona volontà e delle buone intenzioni, esigano una comprensione superiore.
Sembra che la solitudine del cuore sia così abissale da non essere raggiunta da nessuna voce umana.
Sembra che l’intensità della passione non trovi corrispondenza nell’amore e nell’ira che gli uomini possono vicendevolmente scambiarsi.
Sembra che la solitudine non possa neppure costituirsi, e tanto meno un dialogo interiore, se l’altra parte non ha un volto sovrumano.
Sembra che la metafora dell’inconscio sia troppo povera per contenere quel patire che solo nei simboli religiosi trova l’altezza della sua iconografia.
Sembra che le vette della mente non sappiano perché si protendano verso il cielo, se il cielo è vuoto. E neppure perché l’esilio, a cui ci avvicina la disperazione, possa essere immaginabile senza un inferno che ce lo prefiguri come corrispondenza immaginifica dell’anima.
Nell’atmosfera creata da queste inquiete domande, tutte le parole che quotidianamente impieghiamo nel mondo rivelano la loro afasia. E allora solo l’amore, con la vibrazione delle sue folgorazioni, può favorire quel cedimento della mente che è necessario, perché la roccaforte della ragione, a differenza del cuore, è incapace di sfiorare la verità senza possederla. Infatti, come scrive il filosofo greco-ortodosso Christos Yannaras:
”Se ti sei innamorato una volta, sai ormai distinguere la vita da ciò che è supporto biologico e sentimentalismo, sai ormai distinguere la vita dalla sopravvivenza. Sai che la sopravvivenza significa vita senza senso e sensibilità, una morte strisciante: mangi il pane e non ti tieni in piedi, bevi acqua e non ti disseti, tocchi le cose e non le senti al tatto, annusi il fiore e il suo profumo non arriva alla tua anima. Se però l’amato è accanto a te, tutto, improvvisamente, risorge, e la vita ti inonda con tale forza che ritieni il vaso di argilla della tua esistenza incapace a sostenerla. Tale piena della vita è l’eros. Non parlo di sentimentalismi e di slanci mistici, ma della vita, che solo allora diventa reale e tangibile, come se fossero cadute squame dai tuoi occhi e tutto, attorno a te, si manifestasse per la prima volta, ogni suono venisse udito per la prima volta, e il tatto fremesse di gioia alla prima percezione delle cose. Tale eros non è privilegio né dei virtuosi né dei saggi, è offerto a tutti, con pari possibilità. Ed è la sola pregustazione del Regno, il solo reale superamento della morte. Perché solo se esci dal tuo Io, sia pure per gli occhi belli di una zingara, sai cosa domandi al tuo Dio e perché corri dietro di Lui”.
(Umberto Galimberti, “Le cose dell’amore”, Feltrinelli Editore)