sabato 10 gennaio 2009

Le 4 regole della felicità


Le 4 regole della felicità
di Antonio Bruno
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Nell’ultimo libro di Enzo Bianchi, Priore e fondatore della Comunità di Bose, intitolato “Il pane di ieri” edito da Einaudi indicazioni di felicità derivate dall’esperienza e dalla saggezza di una vita.
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Il pane di ieri è il titolo del libro del Priore della Comunità di Bose Enzo Bianchi edito da Einaudi. Il proverbio diceva: “Il Pane di ieri è buono domani” il perché è tutto da ascrivere che se io faccio il pane oggi lo devo lasciare un giorno e poi lo mangerò dopodomani, ecco perché il pane di eri è buono domani.
Enzo Bianchi sostiene che ciò che è stato cibo di ieri e che è stato guastato da noi doveva essere messo a disposizione della generazione del domani.
La verità è che la sapienza e l’esperienza di vita di ognuno di noi va trasmessa al fine di essere più uomini.
Tutto ciò non ha nulla a che vedere con la nostalgia. La nostalgia è il dolore impossibile, è il voler tornare indietro, il ricordare qualcosa accaduto ieri per riviverlo.
Invece il libro di Bianchi è un ricordo dei valori e della Sapienza del passato che abbiamo vissuto e che può essere ritrovata oggi e sempre.
Tutto questo è possibile se, di nuovo, ci mettiamo in ascolto della vita, per esercitarci a curarci delle degli altri e della natura e in questo c’è sapienza.
Il Pane, l’olio, il vino e il sale siano a lezione e consolazione. Il Pane, l’olio, il vino e il sale ci trasmettano consolazione e Sapienza.
Ma lo guardiamo quello che arriva sulla tavola?
Ci chiediamo da dove viene?
Ci chiediamo ci ha collaborato affinché ci sia quel frutto, quel prodotto?
Lo sappiamo che a volte è il frutto della terra e altre volte è elaborato da una sapienza senza fine di saper preparare il cibo?
Se ci mettiamo a guardare le cose che arrivano sulla nostra tavola in questo modo possiamo subito notare il cambiamento del nostro rapporto con quelle cose e possiamo prendere atto che cambia anche il nostro modo di vivere.
Tutti sappiamo che a tavola è nata la cultura. Ciò è accaduto proprio perché a tavola è possibile la comunicazione ed è possibile l’amicizia.
A tavola è nato il linguaggio di cui noi ci serviamo per comunicare.
La tavola è il luogo primo in cui tutti noi assaporiamo il rapporto con gli altri.
Quando una persona vuole rappresentare all’altro il suo amore ecco che gli prepara bene da mangiare.
Chi mi prepara bene da magiare mi dice che vuole che io viva e che io stia bene e sia felice!
Ma quali sono i Comandamenti per essere felici?
Primo comandamento: fai il tuo dovere sino alla morte!
Se ho un dovere da compiere lo devo compiere bene e fino in fondo. L’importante è che io mantenga la convinzione di compiere qualcosa e che io lo compia nella libertà. Perché la libertà non si mendica. La libertà si esercita. Ma nella libertà ho la coscienza di compiere il mio dovere a qualunque costo, costi quel che costi, sino a crepare.
Secondo comandamento: Non esageriamo!
Una certa discrezione. Non esagerare. Non pensare troppo di se stessi. Non godere troppo del successo e del risultato. Mantenere sempre il senso del limite.
Terzo comandamento: Basta non prendersela!
Significa che dobbiamo fare attenzione, che dobbiamo saper mettere un limite al dolore, all’esternazione del dolore dando alla sofferenza il giusto peso e guardare la vita in grande perché di sovente siamo presi nella vertigine della sofferenza momentanea. Ma nella vita ci sono stagioni, ci sono tempi, ci sono epoche. E se è vero che a volte siamo rattristati o sofferenti è pur vero che anche nella sofferenza riceviamo tanto bene. C’è da stupirsi sempre della bellezza di qualcosa della natura o della bellezza dei nostri rapporti.
Quarto comandamento: Non mescoliamo le cose! Nel senso di non adulteriamo le cose.
Non facciamo anche a volte dei miscugli. Ad esempio bisogna sempre distinguere bene il religioso dal politico, avere il senso che c’è una distinzione e che la fusionalità, la mescolanza non servono a nulla, non ci permettono di vivere con una razionalità e con una emotività retta quelle che sono le condizioni della vita. Non adulteriamo è la traduzione del sesto comandamento che dice”Non commettere adulterio” e che noi intendiamo e riduciamo a non tradire la moglie o il marito. Ma il sesso è qualcosa che è dentro alla nostra vita, che è fonte della vita stessa.
Sulla sessualità e sulla affettività noi giochiamo la nostra umanizzazione. Il legame tra affettività e sessualità è tale che chiede che sia iscritto nella storia, non può essere qualcosa che accade a caso, che è effimero.
Metto la sessualità in una storia dove c’è affettività! Non la lascio alla dissipazione, non la lascio a ciò che presto perde di significato. Ci vuole un po’ di umanità e una umanizzazione vera, perché la sessualità è un’opera d’arte.
L’atto sessuale è la liturgia dei corpi, ovvero nella sessualità si può fare addirittura con il corpo, un’opera d’arte.
Anche attraverso il piacere sessuale, e con esso, si può fare un’opera d’arte sempre che sia in una storia, sia tutto scritto in una storia, in un amore che guarda all’altro.
Ecco perché il sesso è così legato all’anima! Io lo so che attraverso l’esercizio della sessualità dipende una parte della mia felicità. Da come compio la mia opera d’arte mettendo in gioco il mio corpo per procurarmi e provocare piacere dipende una parte della mia felicità. Ciò non significa avere un’ossessione della sessualità né tanto meno averne una visione angosciata e cinica.
Ma basta anche con la storia che la miseria attraverso il dolore e la sofferenza ci purificano, e addirittura ci rendono felici.
Il dolore, la sofferenza e la miseria abbrutiscono e la violenza in passato avveniva anche perché c’era troppa ubriachezza nei maschi (anestetizzare il dolore con l’abuso di vino o alcolici) e la moglie e i figli ne pagavano le conseguenze. La miseria non è un’occasione per diventare migliori ma è una tentazione per diventare peggiori.
Nel libro di Bianchi si legge in sintesi che bisogna avere attenzione. Avere attenzione per il cielo, la terra, il cibo, la natura, la pioggia e gli altri, perché l’attenzione è la prima forma di preghiera.
Chi è un monaco?
E’ uno che vive in un laboratorio della costruzione dell’esperienza e della cura del se umano.
E’ uno che ha molto tempo per pensare, che si alza presto al mattino, che è fare attenzione, come anche con il vegliare nella notte che è una forma di attenzione.
L’attenzione serve a guardare in profondità le cose, la parola contemplazione significa guardare alle cose con uno sguardo profondo, con lo sguardo di Dio, che è quello dell’uomo umanizzato.
Infine una indicazione su cosa bisogna avere per produrre una bella vita. La metafora della terra. Per far produrre la terra ci vuole un pezzo di terra, ci vuole l’acqua, ci vuole il concime ma non basta. Ci vuole anche un riparo, un posto coperto dove custodire le cose necessarie a produrre.
Nella mia vita ho bisogno anche di un riparo dove stare con me stesso. Solo così potrò evitare di disperdermi nella folla, nel chiasso, ma proverò l’esperienza di Dio al riparo, l’esperienza di Dio che mi servirà da faro e che informerà poi la mia azione.

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