giovedì 2 aprile 2009

Una Chiesa di parte

Una Chiesa di parte
di Antonio Bruno

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Il giorno 1 aprile a Lecce in Via Imperatore Adriano presso la sala della Biblioteca Caracciolo in Fulgenzio don Salvatore Leopizzi ha tratteggiato il volto di don Tonino Bello.
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Quando ieri sera verso le 20.00 sono giunto presso la sala conferenze della Biblioteca Caracciolo stava iniziando a parlare don Salvatore Leopizzi. Il tema della serata è una figura rimasta impressa in chiunque l’abbia sentito nominare ovvero il Vescovo don Tonino Bello.
Un mio amico mi raccontò del suo arrivo alla Diocesi che gli fu assegnata che si era preparata ad accoglierlo con tutti gli onori. Lui ci era andato in 500, non queste nuove in circolazione oggi, ma con quelle degli anni 70 che ancora circolavano negli anni 80, il mio amico di Racale, che lo conosceva bene, mi ha raccontato che non volevano farlo passare perché le strade erano tutte chiuse in quanto stavano aspettando il Vescovo. Fu allora che il Vescovo don Tonino esclamò: “ma il Vescovo sono io!”.

don Salvatore Leopizzi ci parla di don Tonino che esclama INCROCIUM COMMERCIUM ADMIRABILE ovvero Dio che si è rivestito dei panni della nostra umanità. Perfettamente in linea con l’incarnazione che è espressa nel n° 22 della Gaudium et Spes del Concilio Vaticano II in cui si diviene consapevoli che IL FIGLIO DI DIO SI E’ UNITO IN QUALCHE MODO CON OGNI ESSERE UMANO.
In questo quadro con le luci di posizione che orientano la nostra vita c’è lo spazio per comprendere; sia nel senso di capire, che di costruire unità con chi risulta lontano, comprendere anche lo straniero come il ricco e il diseredato.
La costruzione linguistica è lineare e non comprende, abituata com’è a definire, quindi escludendo più che comprendendo. Meglio i Simboli che invece rappresentano anche i MODULI INEDITI.
Il Simbolo che con il Vescovo don Tonino Bello diviene segno d’amore e di servizio proprio come Gesù allontanando ogni tentazione di divenire SIMBOLO DI POTERE.
E COME LI POSSIAMO LEGGERE I SIMBOLI? Ma sicuramente mettendoci nei panni della gente povera e quindi guardando ai segni che provengono dal mondo con gli occhi di quel senegalese nella barca che si avvicina dalla Libia alle coste della Sicilia. Che pensa di questo quel senegalese? Se fossi io quel senegalese che cosa penserei? Facciamolo insieme questo esercizio ogni volta arrivano i segni, le notizie dal mondo. Mi fermo e mi chiedo: “IO SONO UN SENEGALESE NELLA BARCA CHE IN MEZZO AL MEDITERRANEO STO PER GIUNGERE IN SICILIA. COSA PENSO DI QUESTA NOTIZIA, ANNUNCIO, LEGGE, INDICAZIONE ecc. ecc.?????”
Interessante esercizio vero? Eppure un Dio l’ha fatto! 2000 anni fa Gesù l’ha fatto questo esercizio! Dio si è messo nei panni del figlio di un falegname.
Poi il n° 58 della Gaudium et Spes del Concilio Vaticano II guardato da don Salvatore Leopizzi per definire il fatto, la circostanza, che esistono LE CULTURE e non la cultura. Da sempre il messaggio della salvezza è stato proposto in diversi linguaggi nel rispetto delle diverse culture, come nel caso di Cirillo e Metodio.
Poi don Salvatore Leopizzi lo dice con chiarezza che la Chiesa non è legata a nessuna cultura! don Salvatore Leopizzi afferma che la Chiesa è in comunione con le diverse culture. E non basta la Chiesa arricchisce le diverse culture ma c’è reciprocità al punto che la Chiesa è arricchita dalle diverse culture.
Il Vangelo è DINAMITARDO! Lo diceva Padre Turoldo, lo stesso che si spinse a dire che don Tonino rappresentava un Vescovo che poteva chiamare FRATELLO VESCOVO.
Il Vangelo provoca cambiamento e chi come don Tonino ha lasciato spazio a Gesù quando parla provoca cambiamento e dinamismo come quello che provocava don Tonino!

il Vescovo don Tonino si confronta, è sulla strada, con il Vangelo che rappresenta l’Universalità stimolando e dando il suo contributo alla cultura ed educando l’uomo alla libertà interiore.
Questo è il rapporto Chiesa – Mondo. La Chiesa compagna di strada di uomini e donne del nostro tempo, che fa scaturire semi di libertà e d’amore.
Una Chiesa che è di parte perché ama tutti ma partendo DAGLI SCARTATI.
don Salvatore Leopizzi PARLA DELLA FEDE, dice che è cultura perché proviene da un popolo, il soggetto è IL POPOLO DI DIO, che è un soggetto storico perché c’è stata l’incarnazione di Dio in Gesù, e poiché dice all’uomo cosa fare.
Cultura deriva da coltivare e l’uomo viene coltivato sin dal suo sorgere ecco perché la fede è anche ANTROPOLOGIA ED E’ ANCHE PER QUESTO MOTIVO CHE L’EVANGELIZZAZIONE E’ PROMOZIONE UMANA.
Poi conclude con la lettura della preghiera che segue che vi prego di leggere attentamente e se, rimarrete attoniti per le miserie che essa esprime immediatamente vi apparirà la speranza come simbolo del volto di Gesù.

Signore della Storia
+ don Tonino bello
Eccoci davanti a Te, Signore della Storia,
fratello solidale con gli uomini,
Dio estroverso,
che hai impregnato con la tua presenza il tempo e lo spazio,
gli abissi del mare, i tumulti delle foreste
e le traiettorie del firmamento,
alfa da cui si diparte il compitare delle stagioni
e omega verso cui precipita la piena dei tempi,
scaturigine primordiale dei fiumi delle umane civiltà
e ultimo approdo verso cui,
in un interminabile conto alla rovescia,
battono le sfere di tutti gli orologi terreni …
Verbo incarnato, che riassumi nel tuo mistero
La stabilità dell’eterno e le clessidre del mutamento,
noi ti contempliamo stasera
come archetipo della missione che hai affidato alla tua Chiesa:
quella di introdurre te nelle culture del mondo,
riproducendo quell’ "admirabile commercium”
che prese forma quando ti sei fatto carne
nel grembo della Vergine Maria
e hai posto la tua tenda in mezzo a noi.
Signore Gesù, Dio fatto uomo,
sei tu il paradigma essenziale
di quel rapporto tra fede e cultura
che oggi si ripropone a noi,
chiamati a recitare
le partiture della Storia della Salvezza
sugli scenari della transizione.
Accoglili, pertanto, alla tua presenza, Signore,
e facci sostare per un poco davanti a te.
Figli spaesati di quest’epoca postmoderna,
vogliamo sperimentarti
come provocazione a uscire fuori dalla nostra terra,
pur senza abbandonarla,
così come tu, pur senza abbandonarlo, sei uscito dal tuo cielo,
e collocarci sul crocevia delle culture,
non per dirigere il traffico
o per canalizzarle nell’omologazione,
ma per capire ne le spinte di tendenza
e svelare sommessamente
a chi non ha sottomano le topografie planetarie dello Spirito
che tu sei l’ “éskaton” verso cui precipita la storia.
Signore Gesù, noi volgiamo ringraziarti
Anzitutto per una scheggia di luce
Precipitata nella “Gaudium et Spes” e incuneatasi nel numero 22:
“Con l’incarnazione,
il Figlio di Dio si è unito in certo modo a ogni uomo”.
Dunque la natura umana,
non l’hai unita a te per simboli.
La nostra storia,
non l’hai condivisa assumendola per categorie complessive.
Con le vicende terrene non ti sei rapportato sfiorandole appena
Col battito generico delle tue palpebre.
Tu sei unito a me,a Paolo, a Deborah,
a Sandro distrutto dall’AIDS, a Marina consumata dal vizio,
all’aborigeno della Terra del fuoco
genuflesso dinanzi ai suoi totem tribali,
all’eschimese nato stanotte in un igloo della Groenlandia,
al vecchio Mohamed, un tempo beduino per i deserti del Magreb
e ora nomade per le solitudini allucinanti
delle nostre arterie metropolitane.
I nostri corpi e i nostri spiriti sono divenuti così
La prima cultura concreta dove tu ti sei nascosto
Per farti assimilare da noi e per farci assorbire da te.
Le nostre storie personali
Si sono incrociate con la tua presenza divina,
a tal punto che ognuno di noi può considerarsi
come l’icona primordiale di quell’altro incontro,
sempre discreto e mai prevaricatore,
che, a livelli più globali, deve realizzarsi tra fede e cultura.
Tu ti dai a tutti,
ma senza farti imprigionare da nessuno.
Entri in comunione con tutte le culture
Ma allo stesso tempo le trascendi
E non ti identifichi stabilmente con nessuna di esse.
Ma vogliamo ringraziarti anche perché,
come dicono i primi Concili della Chiesa,
la natura umana è stata assunta da te,
senza per questo essere annientata.
“TheoThèisa ouk anerethè”.
L’hai deificata, ma senza distruggerla.
L’hai innalzata, ma senza violentarla.
L’hai amata perdutamente, ma senza soffocarla negli abbracci.
Sei davvero un Signore impareggiabile,
e noi non sappiamo se è più giusto piangere di commozione
per essere stati elevati alla dignità di figli di Dio
o urlare di fierezza perché perfino Dio
non ha osato manipolare
i connotati della nostra carta d’identità.
Ci hai offerto così lo schema
Di come oggi la fede deve porsi, con discrezione e rispetto,
di fronte alle culture.
Ci hai consegnato il manuale di come la Chiesa deve rapportarsi con le civiltà
Che incrocia di volta in volta sul suo plurimillenario cammino.
Grazie, perciò, perché ci hai modellato, sul tuo esempio,
lo stile missionario della Chiesa.
Tu non sei venuto a civilizzare i poveri, ma a evangelizzarli.
Non se sceso a colonizzarci,
ma a stringere alleanze paritetiche con noi.
Non hai considerato l’umanità come zona depressa
Da occupare, sia pure a fin di bene,
con l’alterigia dei conquistatori
ma come “partner con cui stabilire e osservare intese bilaterali.
Sono trascorsi 2000 anni
Da quel grande rendez-vous tra Cielo e Terra,
e la Chiesa, a cui avevi commissionata
i successivi rendez-vous tra fede e culture,
nel suo generoso impegno missionario,
ha portato avanti, tra fatiche ed incomprensioni,
e spesso impreziosendolo col sangue del martirio,
quel processo di inculturazione della fede
di cui ci hai offerto il modello
nel tuo primo impatto con la storia dell’umanità,
e che continui a offrirci
ogni volta che si realizza il tuo incontro personale con noi.
La storia di Cirillo e Metodio è solo la versione europea
del grande anelito di comunicare la buona notizia
a culture diverse:
il loro esempio di fedeltà a Dio
ma anche di fedeltà all’uomo
è stato seguito dai grandi missionari che,
in Cina o nel Paraguay,
nell’Africa nera o nel centro del Nuovo Continente,
si sono incarnati nel cuore delle culture per annunciare te,
e riferire a tutti la tua proposta di salvezza.
E anche oggi, Signore, lo slancio di tanti missionari
Che hanno scelto di condividere tutto con i poveri della terra,
nelle capanne del Sidamo o nelle favelas dell’Amazzonia,
nelle bidonvilles di Hong-Kong o nelle baraccopoli di Nairobi,
non si ispira forse alla tua stessa carità,
fatta di attenzione e di tenerezza,
di compassione e di accoglienza,
di disponibilità e di interessamento ai problemi della gente?
E gli sforzi della teologia africana
E le stesse sofferenze della teologia della liberazione,
pur con le loro inevitabili contraddizioni,
non rappresentano forse lo spasimo
di questo trasmigrare dei dati di fede
da un alveo culturale a nuovi grembi materni?
E le fatiche delle giovani Chiese di oggi,
nate da una struggente passione missionaria,
non ripetono forse le fatiche della Chiesa di ieri
che, chiamata come Abramo a uscir fuori di Ur,
ha liberato la Parola dagli spessori culturali dei circoncisi,
trasferendola di volta in volta
nella cultura greco-romana,
e poi in quella barbarica,
e poi in quella moderna …
e sperimentando sempre la provvisorietà dei suoi domicili
dentro la storia della Città di Dio?
Ecco perché Signore,
mentre più drammatiche si fanno le sfide del nostro tempo,
ti imploriamo di non farci venire meno la speranza
e di continuare a effondere in noi
lo Spirito Santo, vero protagonista della missione ecclesiale.
E ora vogliamo chiedere perdono se, come Chiesa,
qualche volta abbiamo disatteso il tuo stile:
soprattutto, quando non abbiamo testimoniato la reciprocità.
Abbiamo giudicati i “barbari” costituzionalmente incapaci
Di poterci offrire qualcosa che noi non avessimo già.
Abbiamo rifiutato il baratto con le culture altre.
Abbiamo trascurato la trattativa con il diverso.
Ci è sfuggito di mente quel vocabolo,
di sapore volutamente mercantile,
con cui un’antifona della liturgia
ha l’audacia di designare il Mistero dell’Incarnazione:
“Commercium”. Scambio, cioè. “Admirabile”, per giunta.
Abbiamo valuto, cioè, dare soltanto.
Senza ricevere nulla,
per non contaminare la nostra aristocrazia puritana.
Ci siamo dimenticati che il dono unilaterale
È la forma più sottile di potere.
Ci siamo illusi che, per essere missionari
Fosse sufficiente esportare battesimi, teologia e civiltà.
E, mentre i conquistatori,
le cui spade non abbiamo avuto sufficiente coraggio di maledire,
importavano oro e ricchezze,
noi come Chiesa non abbiamo saputo importare
neppure un frustolo d’anima
dopo averne data tanta della nostra.
Del resto, come si potevano importare nella vecchia Europa
Brandelli d’anima d’oltre oceano,
dal momento che c’ voluta una Bolla solenne
del Papa Paolo III del 1537
per dirimere la questione se gli indigeni americani
fossero veri esseri umani?
Ci sfiora un brivido si stupore quando leggiamo
Alcuni passaggi di quel documento, “Sublimis Deus”,
che pure, Signore,
testimonia il coraggio del tuo Vicario d’allora:
“ il nemico del genere umano,
che si oppone sempre alle buone opere
per mandare gli uomini alla rovina,
escogitò un mezzo mai sentito prima d’ora,
col quale impedire la predicazione della Parola di Dio
per la salvezza delle genti:
egli ispirò i suoi seguaci i quali, per compiacerlo,
non esitarono a dichiarare che gli Indiani dell’Ovest e del Sud,
e gli altri popoli di cui siamo di recente venuti a conoscenza,
devono essere trattati come muti animali creati per servirci,
col pretesto che essi sono incapaci di ricevere la fede cattolica…
Noi tuttavia, che, sebbene indegni,
esercitiamo sulla terra il potere di Nostro Signore,
riteniamo che gli Indiani sono veri uomini,
e che sono capaci non solo di ricevere al fede cattolica,
ma, da quel che ci risulta, desiderano ardentemente riceverla …”
Cose ‘altri tempi, è vero, ma che la dicono lunga
Sulla nostra incapacità di scoprire, anche ai nostri giorni,
quell’incredibile repertorio di risorse spirituali
di cui sono titolari i Senegalesi che ci passano accanto
o i Tunisini che contemplano con amarezza
le stuoie invendute adagiate per terra.
Ma c’è un crimine, Signore,
che ci dissocia da quel modulo di rispetto
con cui tu ti sei accostato alla natura umana:
è l’ecatombe delle culture che è stata perpetrata,
spesso col complice silenzio delle nostre Chiese.
E’ vero, protagoniste di questo delitto sono state le potenze terrene,
che hanno saccheggiato e svenato interi continenti,
portando al martirio collettivo milioni di negri d’Africa,
distruggendo le grandi civiltà amerinde,
violentando le grandi tradizioni religiose
degli Incas o degli Atzechi o dei Maya,
e inaugurando strategie esecrabili di imperialismo
economico, politico, culturale, religioso …
Ma questo non ci dispensa dal recitare il “mea culpa”,
anche come Chiesa,
perché avremmo dovuto levare più forte la denuncia
e rompere ogni convivenza con le barbarie degli sfruttatori.
Perdonaci, Signore, le complicità passate.
Quest’anno, tu lo sai,
il mondo celebra i 500 anni della scoperta dell’America.
Aiutaci a contestare i rituali fastosi
Del trionfalismo giubilare che si sta preparando.
Dacci la forza di intersecare con i versetti del “miserere”
Le volute del “Magnificat”.
Facci prender coscienza che quella non fu una scoperta,
ma un’allucinante conquista,
scandita da rapine, da rappresaglie,
da torture e da saccheggi.
E non vale, a consolarci, il pensiero che i missionari
Hanno controbilanciato con la loro dedizione
I genocidi e le oppressioni operate dagli invasori.
Ebbene, per tutte le controtestimonianze
Delle civiltà cristiane che hanno disonorato il tuo nome
Nel corso dei secoli,
ispiraci a compiere gesti penitenziali,
che abbiamo a un tempo
la forza ispiratrice delle grandi quaresime storiche
e lo spessore comunitario
delle antiche discipline “in cinere et cilicio”.
E proprio perché la memoria delle iniquità del passato
Ci preservi da analoghe violenze nel futuro,
vogliamo leggere qui, davanti a te, Signore degli “empobrecidos”,
come all’interno delle salmodie liturgiche,
una pagina del missionario domenicano Batolomè de Las Casas,
il più grande pentito della storia.
E’ una pagina di martirologio dell’età moderna
Che, nel 1544, racconta le stragi del Mar delle Antille
Di fronte alle quali impallidiscono perfino i genocidi nazisti.
“ … Più di dodici milioni di anime, uomini donne e bambini,
son morti nel corso di questi quarant’anni
per la tirannia e le opere infernali dei cristiani.
La valutazione è certissima e veridica:
ma, in realtà, io credo e penso di ingannarmi,
che ne siano periti più di quindici milioni.
Due sono state, generalmente discorrendo,
le principali maniere con cui quelli che si sono recati laggiù
e che si chiamano cristiani
hanno estirpato e spazzato dalla faccia della terra
tante infelici nazioni.
In primo luogo vi sono state guerre ingiuste, crudeli,
sanguinose e tiranniche.
Hanno ammazzato quanti potevano bramare la libertà,
sospirarla o anche solo pensarvi,
oppure concepire il disegno di sottrarsi ai tormenti che pativano.
Poi hanno continuato ad uccidere opprimendo i superstiti,
con la più dura e acerba servitù
cui uomini e bestie siano mai stati costretti.
Non da altro mossi, i cristiani hanno ammazzato e distrutto
Tante e tali anime, in numero incalcolabile;
non da altro guidati che dalla sfrenata brama dell’oro,
dal desideri di empirsi di ricchezza …
Sospinti da una cupidigia e da un’ambizione tali
Da non trovar confronto sulla faccia della terra,
ritrovandosi in contrade così prospere e ricche,
abitate da genti tanto umili, tanto pazienti e facili da soggiogare,
essi non hanno avuto alcun rispetto, considerazione
o stima veruna per gli Indiani.
Quanto sto per dire corrisponde a verità,
ché ne sono stato testimone e l’ho visto per tutti quegli anni:
li hanno considerati non dico alla stregua delle bestie
(piacesse a Dio che così li avessero trattati e rispettati),
ma dello sterco che si trova in mezzo alle strade e ancora peggio.
Ed è ancora verità notoria ed accertata,
riconosciuta ed ammessa da tutti, perfino dai tiranni ed assassini,
che mai, in tutta la vastità delle Indie,
gli indiani hanno arrecato il minimo danno ai cristiani.
Li ritenevano, anzi , discesi dal cielo,
finché non hanno cominciato e poi continuato a subire,
un giorno dopo l’altro, ogni sorta di ribalderie,
di rapine, di assassini, di vessazioni e di violenze”.
Al termine della lettura del breviario, anticamente si diceva:
“Tu autem, Domine, miserere nobis”.
Abbai pietà di noi, Signore.
Te lo ripetiamo per le metodiche distruzioni di uomini e culture
Perpetrate dai cristiani di oggi.
Per le moltitudini di soldati Irakeni in fuga disordinata
Sotto il fuoco del generale Schwarzkopf,
e per il muro di sabbia entro cui sono stati seppelliti senza nome.
Per i settantamila morti dalla fine della guerra
A causa dell’embargo occidentale,
e per i trecentocinquantamila bambini che rischiano di morire
per mancanza di cibo e di medicinali,
se non cesserà lo scandalo del complice silenzio dei cristiani.
Per il grido di dolore dei Curdi e degli Albanesi,
degli ultimi e degli sconfitti,
dei dannati della terra e dei crocifissi,
che gemono nei sotterranei della storia,
e nei cui confronti,
invece che provocare una rivolta planetaria delle coscienze,
continuiamo ad esprimere imperdonabili lentezze.
Per questa “defaillance” della nostra fede
Nell’impatto con le culture: “Tu autem Domine, miserere nobis”.
Ma è giunto il momento, Signore,
di levare a Te la nostra corale implorazione
perché, in quest’ora magnifica e drammatica della storia,
tu ci prenda per mano,
e ci conduca a leggere con occhi di speranza
lo scenario su cui si affollano le nuove culture,
protagoniste di questo terzo millennio che irrompe.
Esse hanno il diritto di essere evangelizzate,
e, nonostante l’apparente indifferenza,
ci interpellano con la stessa supplica con cui a Troade,
una notte, il macedone invocava Paolo in sogno:
“Passa in Macedonia e aiutaci!”.
Ma dobbiamo confessarlo: siamo un po’ sgomenti.
Prima di tutto perché,
essendo la cultura come uno spessore di scaglie di sicurezza
entro cui ognuno di noi trova il suo sistema di protezione,
dal momento che è crollato
il perimetro compatto della monocultura
in cui siamo stati la caldo per molto tempo,
ci sentiamo ora risucchiati nel vortice della relatività,
e una specie di “horror vacui” ci mette i brividi addosso.
Abbiamo, sì, capito finalmente
Che quella occidentale è una delle tante forme culturali
Di cui è ricca l’umanità,
ma intanto ci sentiamo indifesi
in questa profonda crisi della transizione
e in questo crepuscolo delle certezze.
In secondo luogo siamo sgomenti perché,
rimanendo perplessi se di fronte a certi sistemi
sia giusto parlare di cultura o piuttosto di ideologia,
o di effimera moda di pensiero,
qualche volta ci viene da dubitare
che i diversi punti di terra su cui spargere il seme della Tua Parola
siano tutti disponibili ad accoglierlo
e a farlo germogliare nei rigogli della fede.
La cultura tecnologica e cibernetica
Può avere qualcosa da spartire con Te, Signore?
La cultura radicale che sembra in fase di rimonta
Può riservare altari al tuo nome?
E le culture postmoderne, postindustriali, postmarxiste …
Contemplano nel loro areopago
Tribune per farti parlare di risurrezione?
E la cultura dell’economia e del mercato
Potrà mai riservare nei suoi giochi di borsa
Un angolo per la dramma perduta?
E sul terreno del consumismo e dell’efficienza
Si troverà una buca per piantarvi il tuo “misterium crucis”?
E nella cultura di guerra,
che ogni tanto celebra inquietanti “revivals”,
potrà mai trovare riverberi il perentorio comando:
“Tu non uccidere”?
E alla cultura del razzismo e del nazionalismo
E del blocco rassicurante delle leghe,
la cui ultima logica criminalizza il diverso
espungendolo dal suo tessuto,
come rendere proponibile l’evangelico richiamo
all’esistenza conviviale?
E nella cultura della violenza, della droga e del sesso,
dove “eros” e “thanatos”, invece che essere rivali,
giocano la stessa tragica partita del disfacimento e del nichilismo,
c’è qualche zona franca
dove consegnare la nostalgia del tuo volto?
E la cultura massmediale di cui si ovattano i nostri giovani,
che a quest’ora stanno passeggiando per via Pio XI,
riserva zolle segrete per la fecondazione del tuo Verbo?
E alla cultura della musica e dell’arte,
è possibile far intendere
che lo struggente, insoddisfatto, bisogno di comunione,
inscritto nei ritornelli di una canzone o nei cromatismi di una tela,
è il sacramento dell’inquietudine
che può placarsi solo in te, Signore?
E nella cultura degli islamici che ci passano vicino,
o dei viandanti Indù, approdati da sponde lontane,
sarà mai possibile trovare feritoie
per il passaggio della tua verità?
Tu lo sai, Signore.
Perciò ti imploriamo questa sera:
discendi, ancora una volta, agli inferi.
No, non alludiamo a marce trionfali
Che ti facciamo strappare al diavolo,
in un quadro di potenza, le anime dei morti.
Ma vogliamo riferirci a quella tua capacità
Di prendere su di te le disperazioni del mondo,
di sedurle con le nostalgie del Sabato Santo,
e di farle aprire alla tavola imbandita della pasqua.
Tu, semente che si disfa,
entra nelle zolle delle umane culture.
E noi, non più sgomenti,
come dice un poeta,
“staremo ad ascoltare la crescita del grano”.

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