venerdì 24 aprile 2009

La sua cravatta per anni si annodava da sola


La sua cravatta per anni si annodava da sola
di Antonio Bruno
Vado alla riunione di condominio e lo sento parlare della curiosità di sapere perché la sua presenza giù da noi non risulta entusiasmante per tutti ma fonte di continui lamenti. Poi accade di vederlo circolare in questa San Cesario di Lecce, la domenica mattina con i giornali che occupano le mani.Sentire dire di lui che tra i fili delle parole si accendono scintille che riportano all’infanzia mi intriga. E’ accaduto stasera 24 aprile 2009 e ho poi letto che nel Foyer del Politeama di Lecce, Giovanni Pellegrino ed Elisabetta Liguori presentavano il libro di Piero Manni “Il prete grasso” (Manni). Al posto del senatore Pellegrino c’era Antonio Errico (scrittore e dirigente scolastico) e le scintille le ha citate lui.Sul prete grasso che popolava le nostre Chiese di un tempo c’è la frase che campeggia sulla copertina del libro di Piero Manni, copertina che non poteva che essere rigorosamente ROSSA “Andavano in seminario, i bambini, che sembravano manici di scopa smagroliti nelle tonache troppo larghe, a crescenza, che poi gli si stringevano addosso, e le ragazze se li mangiavano con gli occhi e si giustificavano che era l’attrazione per la religione.”Mi ha fatto gustare un Piero Manni per me inedito Gisella Centonze che appena ho scritto il suo nome mi è apparsa.E’ stanca e mi ha salutato per andare a nanna.Detto quello che ho sentito dai due presentatori Liguori ed Errico preferisco narrarvi di Piero Manni, delle parole che ha detto lui stasera.Legge quello che ha scritto in quel suo libricino dalla copertina rossa, legge i frammenti che non ricorda nemmeno più in quale anno abbia scritto, è sicuro che adesso che l’ha pubblicato non gli appartenga più quel chicco nato per essere letto in treno, come se uno in treno non abbia meglio da fare che leggere.Dice dei sessantenni che hanno molto da narrare e poco tempo per farlo e non imita l’artigiano che invece affida all’astuzia dell’allievo la capacità di carpirne la tecnica e il mestiere. Un vecchio ha un mondo da raccontare ai giovani.Poi parla della sua cravatta che per anni si annodava da sola, senza che lui se ne prendesse cura, addirittura senza che lui se ne interessasse. Poi tutto triste ci narra di quel giorno che la cravatta non si annodò più e dovette farlo lui, il nostro Piero Manni, dopo anni, eccolo a doversi cimentare nel ricordo dei gesti necessari per raggiungere l’agognato nodo. Si lamenta! Pensate che gli è accaduto che per annodare la sua cravatta ha dovuto mettere attenzione, l’ha dovuto fare consapevolmente privandosi dell’immaginazione a cui si attardava prima, immaginazione che gli consentiva di continuare a stare dappertutto meno che dove stava in quel momento che poi era quello dell’annodare io nodo della cravatta davanti allo specchio.La meccanicità, nei frammenti di Piero Manni, è funzionale al controllo della realtà, senza di essa ecco che la realtà necessita di attenzione e la mente non può prendere la tangente verso voli improbabili fatti da ricordi che comunque non sono più qui o da aneliti che ancora devono venire.La discontinuità è un errore per Piero Manni, infatti afferma che quando si rompe il meccanismo fai più fatica e, come dicono gli avvocati, vi è di più, scompare la fiducia in se stessi e nella capacità che hai del controllo della realtà. Davvero interessante questo riferire da parte di Piero Manni ciò che appare condiviso da parecchi, anche se io non condivido alcunché, perché ciò che per Manni è una terribile disgrazia, per me rappresenta l’unica finestra che si apre per consentirti di uscire dalla prigione. Ma queste sono opinioni, che volete che siano? Sono solo misere opinioni che assumono rilevanza solo perché tutti sappiamo che ciò che è scritto non è più di chi lo scrive ma una volta pubblicato è di tutti, ed è per questo che lo scritto di Piero Manni diviene anche mio attraverso queste povere parole.Eccoli i ricordi, le more infilzate nello spiedo ricavato da un filo d’erba, i pipistrelli che loro, ragazzi dei tempi bui e magri del Prete Grasso, cercavano di colpire con le canne e poi eccolo il dialetto che appare “lu rusciu te lu ientu e te lu mare”Si lamenta di non aver mai scritto un romanzo.Poi delle immagini. Quelle delle vacanze a Castro in una piccola casetta sugli scogli. I ricordi di un pescatore e del pesce che Piero Manni puliva sugli scogli, e quelle vespe che Manni lasciava sulle sue mani convinto che mai l’avrebbero punto, perché avrebbero poi ottenuto la loro morte, ma tale morte per la perdita dell’apparato boccale è delle api e non delle Vespe, che se avessero punto il nostro amico Piero sarebbero sopravvissute per poterlo pungere ancora e poi una volta ancora all’infinito punture che in altri ambiti potrebbero risultare fatali se fatte a chi ha intolleranze alle punture delle Vespe e delle api.Ma Piero Manni riferisce che la sua calma e i movimenti mai bruschi nella pulizia del pesce l’hanno difeso e mai ha subito l’onta della puntura di quegli insetti.E’ preoccupato Piero Manni per la mancanza di trasmissione della cultura tra le generazioni e teme un ritorno alle caverne con uomini che anche se primitivi posseggono meno equilibrio dato l’evidente progresso a cui siamo stati sottoposti.Piero Manni ha tentato di parlare del Salento come terra che è su un pianeta, sul nostro pianeta. Piero Manni conclude e che quell’immagine del Prete Grasso che governava i nostri paesi insieme al Farmacista, quell’immagine che non rimpiange e di cui non ha nostalgia (in questo mi sento molto vicino a lui e condivido pienamente) quell’immagine del Prete Grasso che l’ha segnato per sempre.

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