venerdì 20 febbraio 2009

La follia che caratterizza ogni impresa


La follia che caratterizza ogni impresa
di Antonio Bruno

Un foglio bianco, tutto inizia con un foglio bianco. Poi scrivi e quelle parole che, come dice il Prof. Raffaele De Giorgi, si scrivono da sole per farne un articolo o un libro o un saggio, parole che spuntano dal nulla sulla pagina. Il foglio elettronico ha proprio il vantaggio di rivelare questa apparizione come un fatto che è fonte di stupore proprio come la prima volta che vidi sotto ai miei occhi increduli uno scanner che leggeva un testo che poi veniva scritto sul foglio elettronico con questi programmi di riconoscimento del testo detti OCR.
Meraviglia, stupore e sorpresa che caratterizzano oramai ogni mio istante e che inesorabilmente finisco con il raccontarti. Lo stesso stupore che mi ha preso ieri sera in un luogo non meglio precisato dell’universo dove insieme a uomini e donne di tutte le età ho avuto l’esperienza che ti sto raccontando.
Ci riuniamo nel grande gruppo e siamo 50 persone più donne che uomini. Qualcuno ci dice delle relazioni, dello stare insieme e di come questo, si tramuta in vita di ogni giorno.
Parla una donna attempata e dolce, come la fatina buona di Pinocchio che immaginavo io in terza elementare, quando il Maestro Alberto Tangolo ci fece portare dei libri in classe per organizzare una piccola biblioteca e io per quell’anno e in quell’ora due volte a settimana, lo dedicai a Pinocchio e alle sue avventure.
Poi prende la parola una donnina giovane e scura di capelli che tenta la mimesi con la fata buona, che la imita e che l’ammira. Ascolto tutto mi avevano dato un nastro arancione e ho seguito quelli che avevano il nastro di quel colore in una stanza.
Faceva freddo ieri sera, un freddo polare. Mi sono messo accanto al termosifone e la giovane donna che doveva facilitarci poneva le domande che dovevano stimolare l’estro artistico di noi avanti nell’età, per far nascere un opera d’arte chiusa nella casella del gioco dell’oca.
Cosa vogliamo comunicare? Ma l’amore! E che se no? Tutti vogliamo essere amati ma non comunichiamo dolcezza, coccole e effusioni e trincerati nella corazza di un corpo chiuso a riccio ci difendiamo dagli altri che possono darci dolore, molto dolore.
Quasi blasfemo questo parlare d’amore. Un cuore con le mani che poi diviene un cuore con le ali ma che lascia spazio anche a citazioni diverse.
L’amore al tempo dell’SMS di adolescenti che proiettano se stessi sull’altro che deve essere neutro perché più neutro appare più è adatto a farci da specchio per permettermi di amare la proiezione di me stesso su di te. Faccio il pazzo per averti, combino macelli mai visti e metto in gioco tutta la mia vita preda come sono di questo sentimento di passione narcisistica. Solo che poi mi sveglio una mattina e tu non significhi più nulla per me. Ed ecco il cellulare su una tessera del gioco dell’oca e un cuore con dentro scritto T.V.B. Cicci e un altro cuore con dentro segnato T.V.B. PUR I Fifì! E poi l’apoteosi di una citazione del dilagante Muccino con 3 M.S.C. e l’oramai immancabile lucchetto che chiude una catena che usata abitualmente per fissare il motorino al palo della luce diviene simbolo di un possesso tra persone umane che le disumanizza, che le rende prigioniere e schiave di un rapporto chiuso e asfittico che non può che finire in una fuga verso la libertà.
Torniamo nel grande gruppo. C’era chi aveva scritto sulla tessera “E ADESSO SPOGLIATI” altra citazione di un vietnamita Cocciante che tenta di comunicare l’attrazione sessuale che esercitano alcune donne e che diviene potere delle donne su noi stupidi e inebetiti uomini ipnotizzati dagli attributi femminili.
Due enormi dadi.
Gli arancioni scelgono me per andare a lanciarli e poi tutti gli altri che lanciano una e più volte per andare a prendere la loro casella.
Poi di nuovo nel piccolo gruppo a rendere espressivo il lavoro degli altri.
A noi arancioni capita la Torre di Babele ovvero la torre (in mattoni) che fu costruita nel Sennaar (in Mesopotamia) dagli uomini con l’intenzione di arrivare al cielo e dunque a Dio. Secondo il racconto biblico, all’epoca gli uomini parlavano tutti la medesima lingua. La torre era anche un simbolo di unità degli uomini gli uni con gli altri e tutti insieme con Dio. Ma Dio creò scompiglio nelle genti e, facendo sì che le persone parlassero lingue diverse e non si capissero più, impedì che la costruzione della torre venisse portata a termine. Sulla tessera del gioco dell’oca c’era la torre di Babele in un dipinto di Pieter Bruegel del 1563 e poi sul foglio c’è scritto Multilinguismo, Multicultura. Insomma dovevamo mimare quel messaggio.
Noi sconosciuti tra noi e anche a noi stessi, insieme, dietro a un lenzuolo bianco illuminati alle spalle da un faro bianco, abbiamo scherzato e riso a crepapelle per preparare questa comunicazione che diviene prima di tutto la comunicazione della nostra gioia.
Ritorniamo al gruppo grande e arriva una processione di una scala che valica un monte, poi altre follie inclusa la nostra sino alla canzone finale dal titolo “Comunicare è!”
Mi sono divertito e ho promesso di non scrivere dove ciò è avvenuto né di fare nomi, e io sono abituato a mantenere ciò che prometto. Ho raccontato lo stesso e senza rivelare quello che ieri sera in una galassia lontana, lontana mi ha messo a contatto con le emozioni, i sorrisi, la gioia e la felicità di stare insieme con uomini e donne che non avevo mai visto prima di allora.
Tutto merito della fata buona e della sua allieva fatina dai capelli neri e di un altro uomo dai capelli rossi che impipandosene di tutto e di tutti distribuisce dal suo dISPENSER - distributore automatico di stimoli quotidiani – la follia che caratterizza ogni impresa.

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