Tale gioia potrebbe essere la stessa che mi aspetterei se mai mi dovesse capitare di stare in Paradiso
di Antonio Bruno
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Il clima natalizio nella Città di Lecce gustato grazie all’occasione del concerto della Corale “G.P. Da Palestrina” con il suo“Hodie Christus Natus Est”- concerto polifonico natalizio, con raccordi di pastorali e pifferate della più antica tradizione organistica, nella Basilica di Santa Croce di Lecce.
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Oggi a Lecce, la vicina Lecce, l’amata Lecce. Senza Lecce San Cesario non sarebbe di Lecce e quindi c’è una continuità anche culturale tra città e paesello oltre che vicinanza geografica perché Lecce dista da San Cesario appena 5 chilometri.
Oggi io, mia moglie e mia figlia abbiamo percorso le strade del centro, abbiamo ammirato le luci i colori e il freddo penetrante di questa antivigilia di Capodanno.
L’occasione c’è l’ha data la Corale “G.P. Da Palestrina*” che con il suo“Hodie Christus Natus Est”- concerto polifonico natalizio, con raccordi di pastorali e pifferate della più antica tradizione organistica, concerto che si è tenuto nella Basilica di Santa Croce. Tale evento ci ha fatto abbandonare il bel calduccio di casa per affrontare invece il freddo penetrante di ieri sera che ha costretto mia moglie all’acquisto di un paio di guanti per la nostra piccola in maniera da difendere le sue manine delicate dal freddo.
Ed è proprio la passione di mia figlia, che l’ha vista protagonista nel coro della scuola di una bella messa cantata che è stata celebrata nella Chiesa di Sant’Antonio a Fulgenzio e in cui, la brava Maestra Dora Garzia di San Cesario di Lecce, ha curato la parte dei canti mettendo su un coro con bambini delle elementari; che ha informato questa nostra escursione leccese alle 20.00 della sera del 30 dicembre 2008.
di Antonio Bruno
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Il clima natalizio nella Città di Lecce gustato grazie all’occasione del concerto della Corale “G.P. Da Palestrina” con il suo“Hodie Christus Natus Est”- concerto polifonico natalizio, con raccordi di pastorali e pifferate della più antica tradizione organistica, nella Basilica di Santa Croce di Lecce.
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Oggi a Lecce, la vicina Lecce, l’amata Lecce. Senza Lecce San Cesario non sarebbe di Lecce e quindi c’è una continuità anche culturale tra città e paesello oltre che vicinanza geografica perché Lecce dista da San Cesario appena 5 chilometri.
Oggi io, mia moglie e mia figlia abbiamo percorso le strade del centro, abbiamo ammirato le luci i colori e il freddo penetrante di questa antivigilia di Capodanno.
L’occasione c’è l’ha data la Corale “G.P. Da Palestrina*” che con il suo“Hodie Christus Natus Est”- concerto polifonico natalizio, con raccordi di pastorali e pifferate della più antica tradizione organistica, concerto che si è tenuto nella Basilica di Santa Croce. Tale evento ci ha fatto abbandonare il bel calduccio di casa per affrontare invece il freddo penetrante di ieri sera che ha costretto mia moglie all’acquisto di un paio di guanti per la nostra piccola in maniera da difendere le sue manine delicate dal freddo.
Ed è proprio la passione di mia figlia, che l’ha vista protagonista nel coro della scuola di una bella messa cantata che è stata celebrata nella Chiesa di Sant’Antonio a Fulgenzio e in cui, la brava Maestra Dora Garzia di San Cesario di Lecce, ha curato la parte dei canti mettendo su un coro con bambini delle elementari; che ha informato questa nostra escursione leccese alle 20.00 della sera del 30 dicembre 2008.
Il clima è quello giusto, la semi ellissi dell’Anfiteatro Romano di Lecce una volta usato per i giochi gladiatori (chiamati anche munera) e per le venationes, ovvero gli scontri tra gladitori (o uomini vestiti come essi) e animali, tra cui figuravano tigri, leoni, orsi, coccodrilli, rinoceronti oggi pieno di pupi che formano il presepe e proprio nella grotta con la Madonna, San Giuseppe e Gesù bambino ecco un bel gatto che scava con le sue zampette, nascosto dietro alla greppia, una buca che dovrà servire a contenere i suoi bisogni.
Ma poi questo clima lunare con le luci delicate come una nebbiolina che fanno apparire il bel Palazzo Carafa come la residenza dello Zar, il Palazzo del potere leccese come un bell’edificio della Russia in cui la neve è sostituita da questo splendido effetto delle luci.
Guardo in alto e noto nel resto della piazza quell’insistente pioggerella ottenuta sempre dagli effetti delle luci unitamente all’alone bluastro dato dalle lampadine contenute nei lampioni di Piazza Sant’Oronzo.
Insomma ancora non avevo ascoltato nemmeno un corale natalizio eppure, io e la mia famiglia, ci siamo trovati immersi in una realtà suggestiva che ha fatto tremare i nostri cuori e non solo per il freddo.
Mentre mia moglie era all’interno di un noto negozio di Via Templari per l’acquisto dei guanti per la mia bambina, io ho approfittato del tempo, che sapevo già non sarebbe stato breve, per entrare in quello che è stato il contenitore dei miei sogni della Befana (sarebbe meglio dire dei regali che allora portava solo la Befana) ovvero l’UPIM. Ricordo perfettamente le ore che passavo di fonte all’allora scaffale dedicato ai giocattoli (oggi ci sono interi reparti pieni zeppi di giocattoli per tutto l’anno). Io guardavo tutto sapendo di non poter avere nulla di tutto ciò che osservavo. Ma la mia mente toccando o solo guardando quei balocchi percorreva traiettorie che sono assolutamente imprevedibili per te che mi leggi. Traiettorie improbabili e vertiginose che mi portavano sin sulle vette della mio profondo. Ieri ho potuto di nuovo gustare l’ampiezza di quegli ambienti, rivedere una ad una le bellissime signorine “commesse” di allora.
Ricordo ancora quella bellissima, oserei dire splendida, che era nel reparto dei dischi, una donna che promoveva la musica tanto quanto la corale che da li a poco avrei ascoltato.
Io restavo incantato a guardarla e in quegli anni ho potuto apprezzare la discrezione e l’assoluta mancanza di qualunque forma di civetteria di quella donna che pur accorgendosi delle attenzioni non esprimeva alcunché potesse sollevare il nostro imbarazzato sguardo di ammiratori.
L’emozione di entrare in quel posto è stata davvero fortissima a tal punto da sbiadire le opere esposte dagli artisti che in questi giorni hanno occupato quegli spazi intrisi di ricordi.
Parlano di archeologia industriale e non si occupano dell’archeologia commerciale come se quest’ultima non susciti, quanto e più dei luoghi di lavoro, testimonianze di un modo di vivere ormai scomparso.
Esco dall’UPIM e mi ritrovo in Via Templari e nonostante la mia visita sia durata un bel po’ di mia moglie ancora nessuna traccia.
Entro nel noto negozio di abbigliamento per bambini e la trovo intenta a staccare i due bei guantini acquistati di fresco e finalmente la vedo salutare le signorine di oggi (nulla a che vedere con quelle signorine dell’UPIM della mia adolescenza simile a quella del compianto attore Alessandro Momo dei film di Salvatore Samperi Malizia o Peccato veniale).
Eccoci raggiungere l’incrocio con Via Matteotti e imboccare finalmente Via Umberto I quella del Palazzo dei Celestini e della Basilica di Santa Croce dove si sarebbe, da li a poco, tenuto il concerto.
Entriamo all’interno della Basilica tutta piena. Continuiamo a procedere sin fino all’altare dove dopo il confessionale a destra ecco che io trovo tre sedie e dopo averle disposte alla seconda fila a destra dell’altare io e le mie due dolci compagne di viaggio (mia moglie e mia figlia) ci siamo seduti attendendo che il concerto avesse inizio.
Ha avuto inizio e immediatamente mi sono trovato nel bel mezzo del Paradiso.
Io non sono un musicista, posso solo dire qualcosa come fruitore della musica che la Sig.ra Ines Gravili e i suoi strumenti viventi, gli uomini e le donne che fanno da strumento per l’esecuzione di musiche natalizie con raccordi di pastorali e pifferate della più antica tradizione organistica.
Ho provato delle emozioni fortissime che proverà a descrivere avvisando te lettore che, per me è difficilissimo descrivere l’emozione che mi ha suscitato l’ascolto, ma che se proprio sei curioso ho ripreso con la mia digitale quasi tutto il concerto e sarò ben lieto di fartene copia se me lo chiederai.
Scritto ciò provo a descrivere ciò che la Sig.ra Ines Gravili e i suoi strumenti viventi mi hanno fatto provare ieri sera.
I suoni melodiosi erano tali che la mia anima ha cominciato ad esultare e il mio corpo si immediatamente attivato per seguire con ogni sua più piccola parte la melodia che ne derivava.
Tutto ciò che mi circondava assumeva toni sfuocati e il mio sguardo era completamente immerso nelle persone che mi erano davanti che con un forte canto suggestivo creavano introno a me le condizioni del più assoluto benessere che io posso paragonare a emozioni paradisiache perché, secondo la mia opinione, tale gioia potrebbe essere la stessa che mi aspetterei se mai mi dovesse capitare di stare in Paradiso.
Per tutto il tempo che mi è apparso senza tempo il mio stato d’animo è stato esultante e come se fossi in preghiera.
Questo è tutto.
Grazie alla Sig.ra Ines Gravili e ai suoi strumenti viventi.